Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931
46 D. Valeri erba con la g-rande mao·nolia lustra, nel mezzo; quelle chiesone ' ~ ' squallide, color tonaca di fra.te, e, dentrd, tutti quei monumenti ba- rocchi di giuristi celebri; quel fantasma nero, in robbone profes– sorale (lo riconosco: è Rperone Speroni), che m'insegue dapper– tutto, col suo fiato di muffa, quasi sapesse che ho scritto già dei versi fuori delle regole classiche! JiJ quei balli delle sere di carnevale, in piazza dei .Signori, tra la nebbia, o sotto l'acquerugiola gelata: un nerume di folla in agitazione, :flagellata dai lividi sprazzi dell'ace– tilene; e gli urli dei mascherotti, e gli strilli delle ragazze, e il piagnucolio dei clarini sopraffatti dalla violenza brutale dei bom– bardini, e dai tonfi cupi della grancassa .... Ci consoliamo (non son più solo : ho gli amici) con le prima– vere e gli autunni ; ci sfoghiamo confidando le nostre pene alla notte. La primavera è d'una vaghezza e soavità indicibile : si stende su tutta la nostra pianura, senza impeto, lentamente, pigramente. E, sospesa su la città, l'avvolge e la penetra d'una luce che tutto trasfigura; o la immolla di dolcissime piogge d'argento. La vecchia Padova palpita e sussulta al pari d'una adolescente, stemprando il suo duro cuore in sogni leggeri come i fiori della robinia. In fondo alle più desolate contrade c'è un lume di ciefo; da orticelli dome– stici e giardini romanzeschi, cascate di glicine, traboccando dai muri, si rovesciano morbidamente su le acque celestine dei canali. Se ci affacciamo alle porte della città, vediamo i s,,olchi segnati da striscie di tenero verde, e i pioppi tremanti delle lor prime foglie, e, tra le canne e i gigli gialli delle prode, scintillare i fossi sotto le grigie capigliature dei salici, e inginocchiarsi allo specchio vivo, e tuffarvi dentro le braccia nude, le ninfe della nostra mitologia di pianura, le belle lavandare. Magnifico l'autunno: d'uno splendore denso, caldo, un po'' pe– sante. I pomeriggi d'ottobre colano miele sui platani arrugginiti del Prato e delle riviere; i tramonti, dopo aver folgorato e ince– nerito i fastigi dei palazzi, le cupole, le torri, indugiano stanca– mente a sommo del cielo, versando un sottile pulviscolo d'oro sui laghi azzurri delle piazze e nelle foss,e tenebrose delle vie. Allora si va per i lunghi viali· suburbani a incontrare la luna che sorge, rossa, larga, deforme, da dietro gli argini dei fiumi. Ma la nostra grande consolatrice è, d'ogni stagione, la notte. I portici, così uggiosi durante il giomo, diventano i corridoi d'un im– menso convento pieno di pace e di dolcezza. Per ore e ore ci si aggira nell'ombra, rotta qua e là dai radi fanali, sentendo sonare il nostro passo e le nostre parole. Parole così confidenti e piene non le troveremo mai più, per tutta la vita; né mai più troveremo un silenzio così amico, così buono, intorno a noi. (Amore e poesia, le cose vere della vita, forse non le abbiamo vissute veramente che in queUe notti claustrali, in quel nostro ap- BibliotecaGino Bianco (_
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