Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931

Aspetti di Padova 43 · Ora Padova è propriamente e soltanto una città; e il mondo co– mincia appunto là dov'essa :finisce. I treni che passano vi,a, in una nera folata e un urlo, facendo tremare i cancelli di ferro a cui m'ar– rampico per meglio vederli, corrono, so bene, per tutta la carta geografica, in tutte le direzioni, lungo quelle lineette rosse che sono le ferrovie. -Ma,,per veder mop.do, io non ho bisogno di treni. Se esco da Porta San Giovanni, e vado dove va la bella strada, bionda e liscia nell'ombra affettuosa dei platani, arrivo ai colli di , Teolo, che sono dei veri monti, d'un verde caldo e denso, fortemente ombrato di viola; ben li ho veduti quel giorno che, seguendo i sol– dati in marcia, mi sono spinto fin là, dimentico di tutto, inebbriato d'aria e d'eroiche fanfare. Uscendo, invece, da Santa Croce, se mi metto per l'argine del Bacchiglione e muovo incontro alla corrente, raggiungo presto il boschetto di Brusegana: un piccolo lembo di natura al naturale, pieno di fiori, d'uccelli, e di lucidi fantasmi, bel– lissimi e incomprensibili. Il Brenta è dall'altra parte della città, fuori del Portello e di Codalunga; fngge via, strisciando tra pro– fonde dighe erbose, per una morbida campagna, sparsa di case di boschi e di campanili, come bevuto da quell'incolmabile vuoto del– l'orizzonte basso. Dall'alto degli argini e dei ponti mi piace volgere lo sguardo alla città, e vedermela aperta davanti, bruna anche sotto i fuochi del tramonto : lairga, piatta, compatta. Ecco la lunga schiena del Pa– lazzo della Ragione, ecco le torri del Comune e del Bo, e la mole gigantesca del Santo, e le cupole solitarie del Carmine e di Santa Giustina, e, in mezzo, la massa d'alberi del Pra' della Valle. Cara Padova, ora la domino tutta col mio amore, e posso ser– rarmela al petto, come faccio con la mia mamma. Ora non v'è, quasi, contrada e viuzza ch'io non conosca; e cia– scuna ha una faccia e un nome; un suo colore, una sua luce, un suo odore, inconfondibili. Sant' Andrea e Santa Rosa, il Businello e il Ghetto: grovigli di portegheti bassi e sbilenchi, in cui l'aria umida sa d'osteria e di vecchiume. Vicoli poveretti, dove il ciabattino sta seduto davanti alla porta di casa, a tirar gli spaghi, e le donne si litigano da finestra a finestra, e nugoli di bimbi scalzi ruotano in– torno ai pilastri del portico ; viottoli di campagna, chiusi in città, con le siepi di biancospino su cui è steso il bucato ad asciugare ; sfilate d'orti, con l'uomo che zappa e la ragazzina che sbriciola la polenta alle galline; riviere di belle acque correnti, con Partigliere che suona la tromba su la soglia della caserma, e il carrozzone delle monache che svolta, lento e nero, laggiù. Tutto so ormai; e perfino i borghi più lontani mi son familiari, perché spesso ci vado a curiosare nei giorni che non c'è scuola. Tranquillità e silenzio dappertutto. Qualche grido stridulo d'er– bivendola : - Bisi, done ! - ; qualche piagnolosa cantilena di mer- iblioteca Gino Bianco

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