Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931
12 L. Pirandello bocca la lingua a furia di soffiare, e non avevo quasi più :fiato tra le labbra appuntite, arrivato in fondo alla via. Se ciò che av~vo spe: rimentato due volte era vero, eh perdio, dovevo avere ucciso, cosi scherzando scherzando, più d'un migliaio di persone. Non era pos: sibile che il giorno dopo non si venisse a sapere, con terrore d1 tutta la città, di quella mortalità improvvisa e misteriosa. Si venne difatti a sapere. Tutti i giornali, la mattina dopo, ne furono pieni. La città si svegliò sotto l'incubo tremendo d'una epidemia, senza scampo scoppiata fulmineamente. Novecento sedici morti in una sola notte. Nel cimitero non si sapeva come riparare a seppellirli; non si sapeva come riparare a portarli via tutti dalle case. Sintomi comuni accertati da,i medici in tutti i colpiti, dapprima l'avvertimento d'un malessere indefinito, poi la soffo– cazione. Dall'autopsia dei cadaveri, nessun indizio del male che aveva cagionato la morte quasi istantanea. Resfai, leggendo quei giornali, in preda a uno sgomento ch'era come lo sconcerto d'una orrihile ubriachezza, confusione d'aspetti indistinti che s'avventavano, si sbattevano aggirati nel volume d'una nuvola che m'avvolgeva vorticosa; e un'ansia inesplicabile, un fremito pungente che urtava, urgeva contro qualcosa dentro_ che mi restava, nero e immobile e a cui la mia coscienza, attratta ma tutta irta e in procinto di sbandarsi da ogni parte, si rifiutava d'accostarsi, toccava e subito se ne distaccava. Non ,so propria– mente che cosa volessi esprimere, strizzandomi con una mano con– vulsa la fronte e ripetendo : « l!J un'impressione! è un'impres– sione!>>. 1,-,attosi è che la parola, pur così vuota, m'aiutò a squa,r– ciare d'nn lampo quella nuvola, e mi sentii per un momento sol– levato, liberato. « Dev'esser tutta pazzia», pensai, « che m'è entrata nel capo per essermi trovato ieri a far quel gesto ridicolo, e pue- ' rile prima che la calamità si dichiarasse di quest'epidemia piom– bata così di colpo sulla città. Sogliono spesso nascere da siffatte coincidenze le più sciocche superstizioni e le fissazioni più incre– dibili. Del resto, per liberarmene non ho _cheda aspettar qualche giorno senza più ripetere lo scherzo di questo gesto. Se è epidemia, come certo dev'essere, questa spaventosa mortalità deve seguitare e non cessar così di colpo com'è cominciata,». Bene; aspettai tre giorni, cinque giorni, una settimana, due settimane: nessun nuovo caso fu segnalato dai giornali: l'epide– mia era di colpo cessata. Eh, ma pazzo no, domando scusa; nell'osses_sione di un simile dubbio, ch'io potessi esser pazzo, non potevo restare; pazzo, d'una pazzia che, a dichiararla, avrebbe fatto scoppiar chiunque dalle risa, no, via. Da una tale ossessione bisognava pur che mi levassi al più presto. E come? Rimettendomi a soffiar sulle dita? Si trat– tava di vite umane. Bisognava che fossi anche convinto che il BibliotecaGino Bianco
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