Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931
Soffio 11 tal derisoria commiserazione l'ignoranza di quella povera sorella e parlava della morte con così disinvolta familiarità, quasi che avendo da fare di continuo con essa nessuno dei suoi casi gli potesse esser dubbio od oscuro, che alla fine un ghigno di scherno mi proruppe dalla gola irresistibilmente. Già mentre parlava, m'ero scorto per caso allo specchio dell'armadio e m'ero sorpreso con uno sguardo storto e freddo che sùbito m'era rientrato negli occhi strisciando come una serpe. E il pollice e l'indice della mia destra si premevano, si premevano così fortemente l'un contro l'altro, ch'eran come insorditi dallo spasimo della reciproca pres– sione. Appena egli a quel mio ghigno si voltò, gli mossi incontro, a petto, e, con la'bocca atteggiata ancora di scherno nel pallore che m'aveva inteschiato il volto, gli sibilai: «Guardi», e gli mostrai le dita, «così! Lei che la sa così lunga sulla vita e la morte : ci soffi su, e veda se le riesce di farmi morire!>>. Si tirò indietro per squa– drarmi, se non aveva da far con: un pazzo. Ma io gli andai a petto di nuovo: C( Basta un soffio, creda! basta un soffio!». Lasciai lui e afferrai per un polso la sorella. « Lo faccia lei! Ecco, così!», e le portai la mano alla bocca, « congiunga due dita e ci soffi su ! ». La poverina, con gli occhi sbarrati, atterrita, tremava tutta; mentre il medico, senza più pensare che lì sul letto c'era un morto, sghignazzava, divertito. « Non lo faccio più io, su voi, perché già li ce n'è uno, e due con Calvetti, per oggi! Ma bisogna che me ne scappi, me ne scappi sùbito, me ne scappi!». E me ne scappai, davvero come un pazzo. Appena sulla via, la pazzia si scatenò. S'era già fatto sera, e la via era affollatissima. ,Sobbalzavano dall'ombra tutte le case ai lumi che s'accendevano, e tutta la gente correva per ripararsi la faccia dai guizzi di luce di tanti colori che l'assaltavano d'ogni parte, fanali, riverberi di vetrine, insegne luminose, in un sub– buglio assillato da oscuri sospetti. Benché no : ecco là, al contrario, una faccia di donna che s'allargava di contentezza al riflesso d'una luce rossa; e là quella d'un bimbo che rideva, tenuto alto sulle braccia da un vecchio, davanti allo specchio d'uno sporto di bottega che ruscellava d'un getto continuo di gocce smeraldine. Fendevo la calca e con le due dita davanti alla bocca soffiavo, soffiavo su tutte quelle facce sfuggenti, senza scelta e senza voltarmi indietro ad accertarmi se davvero quei miei soffi producevano l'effetto già ùue volte sperimentato. Se lo producevano, chi avrebbe potuto attribuirlo a me? Non ero padrone di tenere quelle due dita da– vanti alla bocca e di soffia,rci su per un mio innocente piacere? Ohi poteva credere sul serio che un potere così inaudito e terribile mi fosse venuto in quelle due dita e nel soffio che emettevo appena su esse? Era ridicolo ammetterlo e poteva pasRare soltanto come uno scherzo puerile. Io scherzavo, ecco. E mi s'era già insugherita in s·ibliotecaGiro Bianco Fondazione Alfred Lewm Biblioteca Gino Bianco
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