Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931
G. G. BELLI, Sonetti 123 fortuna d'ascoltarli dalla ,stessa bocca del poeta. E prima di dirli, bi– sogna averli scelti: ché, se non ve n',è forse uno senza tratti di verità muscolosa, e geniali trovate almeno tecniche, ed espressioni di forza inimitabile, non tutti son la perfezione; e per troppi c'è bisogno d'intro-_ duuoni e spiegazioni storiche, o folkloristiche, o pettegole. Ma, tra le vai-riemigliaia, c'è da pescare qualche centinaio di capolavori; come ha fatto, con mano esperta, il Vìgolo in questi due volumi. Naturalmente, per un critico, fare una scelta ,è un modo d'esporre una propria visione del poeta presentato. E la visione del Vigolo è quella di chi (come noi) vede nel Belli non tanto l'autore bonariamente o fero– cemente maledico, come vorrebbe una sua vecchia fama, quanto un poeta amaro, cupo, e in fondo disperato. Sarebbe interessante mettere a confronto questa disperazione con quella che, al principio dello stesso secolo, si può trovare, oltre che nel Leopardi, perfino in certi versi del più deluso Manzoni (Adelchi: Una: feroce - Forza il mondo pos– siede, ecc.). I nostri poeti non credettero al cosiddetto « ordine ll della Restaurazione. E l'immagine del popolo della sua Roma, il Belli ce la dette ben dissimile da quella cara così n,i quietisti come a que' neoclas– sici, i qua.Ji credevano nelle non sopite virtù eroiche. I suoi popolani, se mai, hanno qualcosa del leone ingabbiato, avvi– lito dalla prigionia e dalla, morfina che il domatore gl'inietta giorno per giorno, per disciplina.rlo a suo talento. L'atmosfera di quella Roma, dove altri salutava e saluta il Tempio dell'umanità, per il Belli è il tanfo d'una sagrestia: e di che sagrestia! A Roma si fa la fede, E fuori ci si crede. A lui la decadenza d'un istituto decrepito, il potere temporale, sembra avere irrimediabilmente intristito uomini e cose; e, simile in questo a un altro scrittore romano del tempo suo, Giovanni Giraud commediografo e scrittore di satire, jl Belli non fa tante distinzioni fra il contingente e l'eterno, ma spesso e volentieri (se non- sempre) par condannare tutto in blocco. Non si tratta, contro quel che pure fu detto a torto, di satira pro– priamente politica o anticlericale; non si tratta di liberalismo, né di spiriti «volterriani>>. È un fatto quasi fisico: soffocazione e nausea. Virtù e vizi popolari,'un fondo d'onestà che ostenta il cinismo, una sen– sualità gagliarda e invereconda sino alla sconcezza più violenta, UJ:la ingenua religiosità «naturale» che attraverso il grosso buonsenso vor– rebbe far giustizia della ,superstizione da cui non sa liberarsi e della corruzione che vede dappertutto, ecco le note essenziali del Belli: con rare seppure stupende oasi di quiete i'nnocenze familiari, quadretti di mamme e di bambini, tranquilli interni domestici, o giochi di saporita ironia. « Non e.asta, non pia talvolta, sebbene devota e superstiziosa, apparirà la materia e la forma : ma il popolo è questo ; e questo io ri– copio, non per proporre un modello, ma si per dare una immagine fedele di cosa già esistente e, più, abbandonata senza miglioramento». Così ha scritto il poeta in quella sua Introduzione, che poi resta sempre il miglior commento ideologico all'opera sua. Ma è possibile, dicevamo, che il Vigolo sia andato a cercare di preferenza fra i sonetti più duri e amari. Non ha nemmeno avuto ritegno a metter le mani su alcuni de' più sboccati, o addirittura osceni: che ibliotecaGino Bianco
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