Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931

122 G. G. BELLI, Sonetti ' mondo conosciuto; ma perciò appunto orgogliosissimi di esser romani. La,storia della loro patria è per essi passata di boooa in bocca attraverso a venti secoli, per raccogliersi e far sosta nel loro rione; onde parlano ancora di Giulio Cesare, e Cicerone, e Catilina, e Bruto, e Catone, e Pom– peo, come se fossero loro fratelli e li avessero visti a crescere, e aves– sero bevuto con loro il falerno nell'anfora stessa; uomini che, per questa parentela, -sentono il privilegio di un'aristocrazia speciale e guardano d'alto in basso quanti stranieri, comunque grandi e illustri, vanno per curiosità a visitarli; e lor parlano col tu -di Roma antica, e ad un bisogno, senza tanti rispetti, anzi in atto di protezione, mettono loro sulle spalle le mani poderose. - Come stai, re Michele? - diceva ai nostri giorni un becca.jo di Trastevere a don Miguel; e mentre con una mano gli ba.tte va una s palla, coll'altra gli porgeva l'ampia caraffa rasa d'orvieto; e accompagnava quest'atto con tale posa e tale espres– sione di volto, che pareva dicesse : fo mi degno di abbassarmi fino a te. Quest'ignoranza e questo costume non impedisce però che essi ab– biano acutissimo l'intelletto; e giova poi a conservar loro un carattere intero, il quale, ~ella sua medesima fierezza, è spesso custode di nobili affetti, della santità dell'amicizia, dello scrupolo della fede .... ». Son pa– role di Giuseppe Rovani, là dove (Cent'anni-, Libro Duodecimo) si de– scrive la plebe di Roma al principio dell'Ottocento, secondo un cliché spirituale servito a parecchi scrittori di quell'epoca (anche a Stendhal), e che in qualche modo è stato tradotto, graficamente, nelle stampe del Pinelli. · E .sarebbe inutile fare qui indagini storiche, per accertare se il cliché corrisponda esattamente alla « verità >>.Ma una cosa è certa: esso non coincide con l'immagine che, della s,tessa plebe, ci lasciò il Belli ne' suoi sonetti, scritti suppergiù nello stesso tempo. Il Pinelli era un neoclassico, e componeva i suoi Romani negli atteggiamenti sta– tuari e solenni cari al suo culto dell'antico; il Belli alle volte è verista, alle volte è barocco, con magnificenze carnose e sonore. Non compren– diamo dunque perché mai, fondandosi sul solo criterio cronologico, si vogliano «illustrare>> coi disegni dell'uno i versi dell'altro: come adesso ba fatto anche Giorgio Vìgolo, in questa intelligente e aoourata scelta di sonetti belliani, che il sollecito Formìggini pubblica in due nitidi volumi, mentre s'attendono l'edizione principe e l'edizione popolare, promesse dal Mondadori. · Il Vìgolo ha ragione 'nel deplorare che del Belli ammiratissimo in ' . Roma e nominato con gran riverenza anche nel resto d'Italia, sia di- fatto conosciuto molto meno di quel che si dice: Tempo addietro uno studioso di cose romane, Ceccarius, avvertiva con qualche meraviglia che perfino in letture di versi romaneschi offerte al popolo, il pubblico grosso mostrava di gustare quelli· di mediocri o scadenti poeti contem– poranei, molto più c~e que~li del Belli. In fondo non c'è da stupirsene: il Belli è un classico (di tempra, come il Vigolo l'ipete giustamente, dan– tesca); e la g~ande arte non è pane per tutti i denti. S'aggiunga che, crune quasi tutti i poeti dialettali, l'opera sua conta, per l'intelligenza d'ascoltatori d'oggi, sopra una dizione accortissima: « bisogna sentirli dire questi .sonetti», affermava Domenico Gnoli, ehe aveva avuto la - BibliotecaGino Bianco

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