Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931

120 A. MARPIC.A.TI , La coda di Minosse sto del Marpicati mi sembra tra i più riusciti. Con un merito in più : che i sentimenti non vi .sono atteggiati affatto in vista d'un qualsiasi effetto romanzesco, e risultano trasposti nel protagonista per quel tanto necessario all'esistenza autonoma del personaggio. Di solito nei romanzi di guerra, anche nei più famosi, che mi ri– spa,rmio di citare, s'avverte una, sforzatura psicologica, una deforma– zione, nel passaggio tra la realtà documentaria, vissuta, e la sua dispo– sizione in racconto; per cui avviene che il documento, sia se interpretato con un presupposto ideologico, secondo una tesi pratica, per fini socia,li e generalmente umanitarii, sia se veduto da un punto di vista esclusi– vamente romanzesco, a scopo pittoresco o comunque come materia , d'eccezione, viene a perdere il suo carattere di verità, o a perderlo--'in parte, per assumerne un a,Jtro o dimostrativo o effettistico; e non è raro il caso che- l'uno sia in funzione dell'altro. Non sempre il lettore di romanzi di guerra, quando. esige in esst verità, cioè chiede di ritrovarvi la guerra« proprio come è stata», si sa render conto della, trasformazione che il. puro e crudo documento, entrando n~l giro d'una vicenda, nel gioco d'uno sviluppo narrativo, è fatalmente destinato a subire; ma se la trasformazione è necessaria, - ché altrimenti della guerra non si potrebbe far romanzo ma soltanto cronaca o tutt'al più storia, - oc– corre ch'essa ùbbidisca appunto a quell'esigenza di verità che il lettore « che c'è stato» richiede. E qui sta, a mio parere, il punto più delicato della questione sui romanzi di guerra•: i quali devono ottemperare a una duplice richiesta, essere veri secondo la storia e veri secondo, fantasia. La legittimità artistica d'un :i:omanzo di guerra si verifica quando fra verità dia,cistica e verità poetica la saldatura è completa, e direi invisibile. Ora, nel romanzo del Marpicati non dirò che questa saldatura sia totalmen te riuscita; ma l'importante sta, nell'avervi teso, nell'avere cioè cerca.to di trasporre nel tenente Menandri, e senza alcuna deformazione psicolog ica, non ,solamente il dato biografico, strettamente individuale, ma anche una situazione morale comune a molti combattenti, in un pe– riodo particolare, e particolarmente vibrante, della nostra guerra. Jl romanzo, pur tenendosi aderente a una linea diaristica, mescola, o meglio fonde cotesta linea in una vicenda che, mentre dà rilievo al pa,rticolare stato d'animo del protagonista, consente al-lo,scrittore di immettere nel caso individuale uno stato dello spiri~o dei combattenti largamente dif– fuso nell'annata precedente a Caporètto. La trama è delle più semplici, e direi comuni: un tenente, per aver dato un pugno a un soldato pigro e riottoso, misteriosamente protetto da un alto comando, viene deferito a un tribunale di guerra, subisce un processo, ed è assolto: la coda di Minosse è appunto la giustizia d'uno di questi tribunali. Questo incidente dà modo a Menandri di vivere per alcuni giorni in un carcere militare e di conoscervi alcuni tipi: un avvocato, maggiore del tribu– nale, ridicolo e panciuto sputasentenze in latino, •un conte capitano, ingiustamente accusato di aver barato al gioco, ,e ch'è in attesa del pro– cesso, un arguto soldato veneto che fa da carceriere, e qualche altra figura; e di assistere con ribrezzo a una coreograrfica fucilazione. È un piccolo mondo che provoca nel tenente sdegno, tristezza, sfiducia; P- BibliotecaGino Bianco

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