Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931

P. G.A.DDA, A gonfie vele 119 · di quelle barchette che stavano più presso alla nave, del che que' barbari che v'erano dentro, meravigliati e quasi spaventati, subito cercarono di scostarsi dalla nave, dubitando forse che altri non volesse fare il simile, e comvnoiarono ad alzar l'abito al frate, a toccarlo per tutto il corpo, q·uasi non conoscessero che sorte di uomo si fosse. E_qU poste le mani nella sua manica, capò fuori ta sua croce, e baciandola egli, la passava a loro, che la baciassero; ma quelli non in– tendendo né sapendo questo mister-io, la presero in mano e senza baciarla altri– menti, la posero in altro luogo; e s'addirizzarono con la loro barchetta verso una di quell'isole, verso le quali il padre dava ad vntendere cot segni che faceva colle mani che lo conducessero, siccome fecero in un baleno. La stessa scena nel racconto rifatto da Gadda si trasforma così : Frate Albino nel frattempo, preso il suo breviario ed un piccolo .croci.fisso di legno, s'era fatto nella corsia più bassa· per saltare in una di quelle barchette. Nessuno era intorno a lui. In questo momento senti come un dolce rimpianto della vita, che gli appariva intorno tanto lieta di colori e di voci. Piegò un gi– nocchio e: «Signore», mormorò con piccio/. moto di labbro, « vedi qiW,nto sono misero e solo, non abbandonarmi anche tu!». Avendo cosi pregato, strinse il suo volere, raccolse tutte le forze del corpo e spiccato un salto tanto agile che parve un miracolo, si trovò in una di quelle barchette. Gli indiani, spaventati, dato di piglio ai remi si scostarono dal galeone, e, seguiti da altre giunche, se ne fug– givano versC' la costa. Chi confronti i due brani (e i due corsivi) si avvede che in Gadda quel che era più vivo nel racconto del Carletti si è perso : certo vi si è sostituito un passo di accento più intimo e moderno : ma forse nel cambio noi ci si perde. . Eppure anche questo racconto di Gadda è ottimainente condotto; la navigazione non potrebbe essere sceneggiata meglio; il mare, il bastimento, le figure e gli incidenti di bordo, la care~tia, i fortunali, le tempeste, la novità delle isole, i selvaggi, i missionari, tutto è ben legato, tutto cade a tempo. E ci sono tante belle «marine», da riem– pire un'intera sala di esposizione. Quel che manca qui e nelle più recenti prose di Gadda (e c'era invece in« Liubai>) è, al punto giusto, quell'im– provviso tremito, quella scossa per cui un buon lettore, come il pescatore di lenza,, deve esclamare : ci siamo ! In queste prose le cose van troppo lisce. Con tante qualità d'ordine, di gusto, di tono; con tanta e serena onestà, di scrittura, Gadda sembra anc6ra uno scrittore in vigilia, che a.spetti l'occasione vera, la sua, giornata. Troverà allora anche quel– l'accento vero che spesso ora gli manca, quell'energia vitale che, quando c'è, dà, luce a.Jle altre qualità di uno scrittore, e talvolta comp~nsa da sola molti difetti. Prnmw p ANCRAZI. ARTURO MARPICATI, La coda di Minosse. - Cappelli, Bologna, 1931. L. 10. F'ra j_ romanzi di guerra italiani che, costruiti su una trama, diari– stica e in grandissima parte documentaria, tendono all'autonomia del racconto disponendo dia.rio e documento entro una fluenza narrativa sufficientemente libera dallo stretto cursus temporale e biografico, que- lioteca Gino Bianco

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