Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931

L'ult-ima poesia di .Arturo Orwfri 99 tudine per intravveduti raggiungimenti, mi si comunicavano come ir– radiazioni di un'anima, che si crede liberata. « Questa non è la poesia d'ogni giorno (mi dissi), non è la poesia delle chiesuole. A tratti, mi fa pensare che sono vissuti Isaia ed Ezechiele, che è vissuto Dante, che è vissuto Michelangelo. Che essa sia vestita talvolta di strani panni, ci penserò dopo. Intanto io goda questo spirito precipite negli spazi, inebbriato del cirèonvolgere le cose con le sue trasparenze in fuga, illuminato dal sole». Aver detto un giorno la mia sorpresa e il mio rispetto dinanzi a Onofri mi valse l'invito a mettere anche la mia voce in un libro (l'Arturo Onofri, pubblicato dal Vallecchi) che i suoi primi disc,epoli, i primi ripensa.tori di lui, dedicarono alla memoria del poeta morto. Insolita, e apparentemente mescolata, adunazione di scrittori. Venuti da ogni parte della letteratura; alcuni con molti anni e gran nome, altri già chiari in cerchie spirituali più giovani, altri meno conosciuti, viventi giovanis– simi nei paesi caldi dell'entusiasmo. -Taluno ne ho già citato, prendendone le definizioni recate in principio di questo scritto. I promovitori del libro, Girolamo Comi, Vittorio Gui, Guido Marotti, Oreste Regnoli, amici teneri e riverenti del poeta, ambirono che dal molteplice convegno di spiriti venisse luce a ciascuno dei molti aspetti sotto i quali la sfac– cetfata arte di Onofri si prestava, all'indagine. La riuscita dell'inchiesta mi pare notevole. Leggiamo alcuni saggi estetici di singolare robustezza e penetrazione, quali possono darci un Titta Rosa, un Francesco Flora, e apprezzamenti su Onofri come pensatore, come spirito religioso, come spirito musicale, come audace superatore della crisi letteraria del nuovo secolo, già da lui tutta conosciuta e sofferta. Non vorrò dire che il saggio di J. Evola sia superiore ad altri ec– cellenti; ma certo è il più utile ed istruttivo, essendo quello che ci insegna positivamente in quale direzione vada cercata la chiave della poesia ultima di_ Onofri: la sola che veramente ci interessi. Con gli esempi alla mano, l'Evola ci dimostra il potere animatore che le dottrine e i simboli della magìa hanno su l'immaginazione del poeta. Tutti gli studiosi di lui ci designano l'« antroposofia» dello Steiner come quella che lo avviò verso l'antica scienza arcana. Ma l'Evola ci illumina in modo più preciso sulla sua compenetrazione totale di questa scienza, alla quale egli si accosta non in senso generico, ma con l'adesione de– wrminata e specifica dell'iniziato. Parecchie cose che in lui ci sembrano rapimenti del visionario, improvvise fioriture felici del creatore d'im– magini, non sono in realtà che rievocazioni di segni mistici e di miti demiurgici ben noti agli occultisti : precisamente come in Dante, se– condo gli studii nuovi, i ricorsi al linguaggio ermetico dei Fedeli d'amore. L'ultimo Onofri è un mago. Su ciò l'Evola non ci lascia alcun dub– bio. Lo studio dei testi della magìa è quello che si richiede perché il difficile poeta Onofri ci divenga più chiaro. Qui ritroveremo fonti e in– tenzioni precise a mostrarci l'inganno di ogni nostra interpretazione ingegnosa che prescinda da quella conoscenza. Ma posseduta la chiave magica della poesia onofriana, non diminuisce in noi U magnetismo di quel potere creativo che sentiamo agire, in profondità, sotto la sua bliotecaGino Bianco

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