Pègaso - anno III - n. 7 - luglio 1931

Settimanali 91 Perché noi per l'Italia si pensa quel che Bernard Grasset pensa per la :Francia : che cioè i veri romanzieri possono esistere ed esistono anche da noi e che il malanno comune, là e qua, ,è che si scrivono troppi ro– manzi che non sono romanzi, da scrittori portati dalla natura a tut– t'altro còmpito. Ma è un malanno, credo, dell'epoca avidissima; e lo si trova in molti dei giovani che oggi fanno, mettia,mo, della filoso,fia, e in molti di quelli ,che oggi vogliono fare, Dio sa perché, della politica. Sbagliano la misura di se stessi, e poi dànno la colpa al metro. Paderewski alla. Scala. 21 giibgno. Iersera Paderewski che ha settantun anno, ha dato un concerto alla Scala. Il teatro era colmo e gli applausi frenetici. An– davano all'arte del pianista celeberrimo o a quella straordinaria vi– goria nonostante l'età ? Paderewski è un gran bel vecchio, alto, diritto e snello, ancora un poco biondo tra. il bianco, con un profilo imperioso,' gli occhi lampeg– gia,nti tra le palpebre gravi, il collo lungo e scarno su da un goletto basso e largo che lascia libero il respiro alla passione. Quando s'alza per ringraziare tenendo una mano sulla spalliera della, sedia, è proprio un sovrano che s'inchina con benignità. Se suona con l'orchestra e nelle pause del suo pianoforte si volta, a guardare gli archi vicini a lui, resta. accigliato, quasi a vigilarli. Oltre che pel gran nome e per la generosa fedeltà alla causa della patria, a,nche pel suo aspetto egli deve aver meritato d'essere il primo presidente della nuova Repubblica polacca, sùbito dopo la vittoria: l'unico musicista, credo, capo d'uno Stato. Prima ha suonato in un suo Concerto, scritto quando aveva ven– titré anni; poi alla ripresa ha suonato da solo cinque musiche di Chopin. Tanti erano gli applausi e le grida di bis, che ha aggiunto al programma altri quattro pezzi, instancabile. Era. bianco come un lino, ma le mani frulla-vano sulla tastiera, s'avvicinavano, s'allontanavano, picchiettavano, trillavano, docili e sicure. Alla fine. d'un accordo più sonoro, piegando indietro il capo, Pa-clerewski alzava di colpo il braccio, con quel gesto con cui una volta il guidatore d'un tiro a quattro abban– donava le redini ,sul collo dei corsieri al. galoppo o il giocatore gittava sul tappeto vèrde l'ultimo zecchino. Vedevo la, mascella trema rgli un poco, ché forse egli s'aiutava sottovoce col canto. Ma quando s 'alza.va, sempre più pallido, a ringraziare, era. sempre fiero e diritto come a l primo istante. E il pubblico urlava bis, bis, con l'inconscia ferocia che è propri.a d'ogni folla, quasi per misurare fino all'estremo anelito la re– sistenza del vegliardo. Qua,ndo in una musica più patetica egli curvo sulla tastiera lasciava una pausa tra due note, il pubblico tratteneva, il respiro. Un a.ttimo, ànc6ra un attimo: che è accaduto? No, no, ha ripreso più fresco di prima. Quando colpeggiava sugli acuti, qualcuno pensava addirittura a un picchiar d'ossa con os1-<a. Pia-nisti, violinisti, cantanti, attori, quando è che devono lasciare la ribalta perché nell'applauso del pubblico non si sospetti l'equivoco tra là crudele pietà e l'an1mirazione cordiale? Ricordavo l'ultimo giro di ltleonora Duse, con la Porta chiusa di Praga, con gli Spettri d'Ibsen, e quel suo attento angosdoso risparmio del respiro e della voce per arrivare

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