Pègaso - anno III - n. 6 - giugno 1931
702 A. Piooone Stella - Olassioismo or-itico di Renato Serra intorno ad una cerchia piuttosto ristretta di autori i quali non potevano né essere scoperti né massacrati nel senso che a queste parole vuol darsi. Ma dopo di lui poco di nuovo e quai;;i nulla di meglio si è detto su Panzini, Ferrari, Beltramelli, e in parte anche su Pascoli, Carducci, D'Annunzio. Il volumetto delle Lettere) seb– bene vecchio di quasi qùattro lustri, contiene giudizi che da Papini a Soffici, da Deledda a Zuccoli sono rimasti pressoché inalterati;: e tutto l'insieme del lavoro, per equilibrio e assennatezza, per gu– sto e precisione di vedute, costituisce in fin dei conti qualcosa a cui quelli che son venuti dopo, a trattar dello stesso argomento, possono onorevolmente portar rispetto. Per giustificare il successo della critica serriana, si è voluto at– tribuirlo o esclusivamente alle virtù dello scrittore o all'attrattiva esercitata dalla sua raffinata decadenza su una generazione di de– cadenti. A noi pare di aver già insistito abbastanza sui motivi fondamentali delFopera di questo giovane maestro d'umanità che possono riassumersi nella reazione al disfacimento neo-romantico tentata, in arte, con un richiamo alla tradizione che vale anche realtà, rifiuto dei feticci trans_?ilpini, onestà, chiarezza, sanità; in critica col superamento di alcune posizioni dello schematismo e del concettualismo idealistico. Aggiungeremo infine che è assoluta– mente arbitrario considerare Serra un ottimo scrittore e un critico mancato o mediocre. Che mai può significare questo altro che voler confinare il valore di un artista ai suoi aspetti accessori e alle sue qualità esteriori? Un romanziere non può essere contemporanea– mente un grande artista e un pessimo narratore, o viceversa,. se non per i lettori dozzinali. Se Renato Serra non solo nelFEsame e nell'Epistolario ma in tutti i suoi saggi si rivela come uno dei più interessanti scrittori contemporanei, ciò è dovuto al fatto che egli è appunto un notevolissimo critico. A meno di non voler ridurre la sua arte alle parentesi, agli intermezzi, alle divagazioni che nei suoi scritti abbondano. Oppure ritenere in buona fede, basandosi su qualche stizzosa insofferenza, che in fondo in fondo egli non cre– deva nella critica. E via, neanche il O~rducci credeva nella poesia. ANTONIO PICCONEJ S'l'EJLLA. BibliotecaGino Bianco
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