Pègaso - anno III - n. 6 - giugno 1931
ma ,çsicisrnocritico di Renato Serra 699 una materia su cui si esercita il travaglio di chiarire e sciogliere e valutare>>. Ma egli poi non trascurava di avvertire l'insufficienza di questa resa del fenomeno artistico in termini intelligibili, di questo travaso dell'intuizione nel concetto, e quando parlava degli scritti critici del Croce ne additava facilmente i limiti naturali e le qualità effettive nella precisione con cui libera il terreno da tutto il cumulo di inesa,ttezze ehe intralciano la soluzione del problema filosofico della poesia. <e Il gusto e l'impressione ingenua passati in se~onda linea>> con Serra riacquistano invece l'importanza origi– naria a complemento del giudizio logico. Egli tendeva, per dir così, ad una maggior compiutezza critica, oltrepassava gli schemi este– tici, le formule culturali, le riduzioni intellettuali: riusciva a se– gnare il punto. dì congiunzione tra idealismo e umanismo. In che misura abbia potuto attuare questa congiunzione, con quali restri– zioni o incertezze, è da vedere. Ma noi a questo volevamo giungere. Ora basta leggere i suoi libri. Ilesaggio su Kipling è del 1906, quelli sul Pascoli e Beltramelli del 1908-9, della stessa epoca il terzo che chiude il volume degli Scritti critici. All'anno successivo •appartiene il lungo articolo : Di D'Annunzio e di due giornalisti: il saggio su Panzini è del 1910 e quello su ,Severino Ferrari del 1911. Le Lettere sono del 1913. Ab– biamo segnato alcune tappe della sua produzione ma non per de– durne, sia pùre in termini approssimativi, uno svolgimento intimo. Questo c'è, ad ogni modo, e si può rilevarlo sia nello stile dello scrittore, che via via tralascia i particolari analitici per una so– brietà più concreta ed incisiva, sia nelle doti del critico che, sempre misurato e sensibilissimo, tende a un possesso più imperioso e to– tale del suo argomento. Diciamo così un po' genericamente, perché in effetti ci basta mettere in chiaro che il suo è un accrescimento d'umanità più che di ideologie. Non soltanto non fabbrica sistemi e non si lascia vincere dalla vanità di correggere quelli altrui, ma non ha alcuna vocazione per ciò che può chiamarsi il culto filosofico di un'idea. Non che per avventura si ritrovi a non avere idee, il che sarebbe un brutto e impossibile caso, ma non ne fa mostra per– abito scientifico, si accontenta di calarle direttamente nella pratica delle sue esperienze critiche. Di passaggio, parlando di alcune defi– cienze di un libro di Rastignac, può lasciar correre espressioni di questo genere: « E vent'anni più tardi e studiandoci un poco, io non dubito punto che non sarebbe riuscito a impadronirsi bene dei metodi schematici e della curiosità speculativa che governa la no– stra repubblica e che è forse assai più grave e fastidiosa che su– blime>). Egli ha scritto da letterato un piacevole saggio su Kant, si è interessato di problemi storiografici e soprattutto estetici, ma non BibliotecaGino Bianco
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