Pègaso - anno III - n. 6 - giugno 1931

676 L. Chiarini E anco scriveva·: faceva commenti e traduzioni e mandava articoli per l' Appendtioe alle letture di famiglia dir.etta dal Thouar. Mandava al Chiarini, per il giudizio, versi suoi, e a questo dava consigli per i la– vori che veniva facendo, incita:ndolo, rinfrancandolo. L'intesa spirituale fra i due era perfetta: l'amicizia fondata su un sentimento profondo. Perciò queste lettere sono sincere, libere. Non c'è davvero la preoccupazione di scrivere, ma solo il bisogno di esternare tutto se stesso all'amico. Si può dire che nes,sun moto del suo animo sfugga: ira, scora-ggiamento, entusiasmo. C'è il poeta con tutta la sua gioventil, con tutti i pregi ,e i difetti della gioventù. Così non mancano gli scatti eccessivi, le esagerazioni: ma c'è tutto l'amore per lo studio, per la nostra grande letteratura, c'è tutta l'ruffettuosità d'un'anim,a. sen– sibile, tanto selvatica con gli estranei per quanto delicata con gli amici. C'è l'esuberanza di un temperamento ricco di vita spiritu.a.le che trova in se stesso infinite risorse ed ha bisogno di espandersi, \ii affermarsi. C'è, insomma-, quell'atmosfera spirituale che ritroviam@ negli Juvenilia, con gli scatti e gli abbandoni di quelle poesie. Il che mostra la sincerità della sua lirica, anche giovanile; sincerità che non fu mai sacrificata alla vanità letteraria. Inutile, ,sembrami, avvertire che certi passi di questa corrispondenza, dove sono intemperanze ed esagerazioni partigiane, debbono essere valu– tati cautamente, tenendo presente, cioè, e l'età del poeta (aveva allora appena ventidue anni) e il momento storico in cui le lettere furono scritte e, infine, il carattere dell'uomo. - In quegli anni il suo furore. rpagano era al colmo, il suo anticle– ricalismo, esasperato; anche perché riteneva che l'unità italiana non si potesse raggiungere che contro la Chiesa e il ,cattolicesimo. Lo stato d'animo, poi, di quei giorni spiega l'asprezza del lingua-ggio della -qm1Je egli stesso ruvolte si accorgeva. « A queste .giornate· ferventissime i.I mio cervello non è fermo: per cui perdona la infame diceria», scriveva dopo aver fatto una sfuriata contro gli adoratori del Manzoni ~ dei suoi Inni saori. Oggi, a più di mezzo secolo di distanza, gli atteggiamenti di cui s'è fatto cenno possono essere esattamente valutati e compresi: oggi, ahe gli eventi storici han superato la· ragion d!essere di uno spirito che a quel tempo aveva pure i suoi motivi ideali. Le lettere qui appresso stampatè. Tiguardano il periodo che precede la pubblicazione del volumetto di rime presso il Ristori in 8an Miniato. Vivono in queWatrnosfera spirituale cui s'è creduto far cenno pìù in– nanzi e non richiedono un lungo commento tanto esse parlan da sé. Il Carducci era in sulle prime assai restio a dare alle stampe i suoi versi; ne lo spinse la convinzione che con essi avrebbe potuto pagare i debiti_grandi che si ritrovava. I debiti grandi, per lui, eran poche decine di lire prestategli dagli amici e un conto presso il caffettiere per pochi ponci bevuti. Il libro avrebbe dovuto liberarlo da questo incubo enorme, « Sola speranza per ritornar io, pagati i debiti, è quella pubblicazione», si legge, infatti, nella nota- a una di queste lettere. A ventidue anni quanta f-ede nella, potenza economica della sua Musa! BibliotecaGino Bianco

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