Pègaso - anno III - n. 6 - giugno 1931
R. BACCHELLI, La congiura di Don Giulio D'Este 753 posito, e lascia indovinare, più che non esprima esplicitamente, il pro– prio pensiero. Ma s'intende insomma, che colla compiuta e amplissima descrizion{) del momento in cui la congiura è sorta, della società in cui è venuta m3tturandosi, delle accese passioni da cui ha tratto alimento, delle intricate situazioni familiari e politiche ch'essa intendeva ri– solvere, egli ha voluto illuminare il componimento poetico che su questo terreno è nato, come fiore del male in un'aria viziata; e, illuminandolo, mostrare che esso è figlio di quell'aria e di quel clima, e che però quel sottile profumo di perfidia non è suo, non del poeta, ma della serra ardente di passioni sfrenate in cui è nato. Insomma l'egloga non sarebbe poesia ma storia, non opera di poeta ma azione della vita politica. Bacchelli storico è diligentissimo, Bacchelli dialettico è insinuante e persuasivo, come un causidico avvezzo a spaccar il capello. Ma, ma, i suoi ragionamenti, le sue distinzioni sottili ci convincono fino a un certo punto. Dopo aver letto, con vero godimento, il suo libro, così serio e cosi vivo, arrivati al momento in cui l'intento si precisa e i fili si stringono, noi restiamo irresoluti. Andiamo a cercare, per sin– cerarci, il recentissimo libro del Catalano sull'Ariosto, e lo apriamo là, dove l'infaticabile erudito tratta anche lui di questo episodio della vita reale e poetica di messer Ludovico. Quattro paginette sole, e un giudizio ~o e preciso: « Il tentativo di raffigurare questo disgra– :z;iato principe (don Giulio) con colori foschi e di rovesciare su di lui tutta la responsabilità dell'accaduto, tacendo le colpe del Cardinale, è ingeneroso. È questa •forse la sola vera macchia che è giuocoforza rico– noscere nel geniale poeta, per tanti altri riguardi degno di stima, perché non maculato dalle sozzure dell'epoca». È il giudizio della tradizione; ma ripetuto qui ·con tale autorità, che non può non arrestarci perplessi sulla via che Bacchelli, con tanta sapienza, e calore, intendeva farci perco·rrere. GIULIOREJICHENBACH. CARLOEMILIO GADDA, La Madonna dei filosofi-. - «Salaria», Firenze, 1931. L. 10. Gadda non è uno scrittore facile, ma uno scrittore nuovo certo è. Facili non si è mai, quando si comincia, e si porta una forte promessa; meno si è da artisti complicati, dalla pagina irta e da un più irto riso. Gadda è di questi, arrivato poi tardi alle lettere, e umorista, sebbene nostro, e umano, sa-no. Osserva- nella comune realtà cose che a un occhio quieto sfuggirebbero; e non si contenta di dirle in una forma spiccia: le complica, dicendo, con un linguaggio ruvido, acuminato, pieno di stri– dori. Gli amanti delle delizie (o supplizii) del parlar toscano, chiamati a giudicarlo, gli volterebbero senz'altro la faccia. E avre~bero la loro parte di ragione. Ma anche Gadda ha la sua parte, a scrivere cosi. E noi gli troveremo un vicino, Jahier. In Gino Bianchi, chi ricorda, certi pesanti effetti stilistici tolti al gergo delle pratiche d'ufficio, e a-i « pro– tocolli» fecero tutt'uno, piacere e dispiacere, ci sorpresero un tempo a ridere' di buo~a voglia, e ci stancarono. Gadda ha più libero e, direi, 48. - Pègaso. Gino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy