Pègaso - anno III - n. 6 - giugno 1931

A. TILGHER, Estetica 745 possa sembrare, da quella del nostro estremo idealismo, - è di fare del– l'arte un atteggiamento deHo spirito, un'esperienza, originale che ha in sé il proprio principio e il proprio fine, ma non implica una « facoltà, » particolare, una pa,rticolare forma spirituale distinta dalle altre. Con ' la sua soluzione viene ad essere elimina,to il pericolo di quella trascen– denza di una forma dello spirito all'altra, la quale di volta in volta è.e– grada a natura, sia pure interna allo spirito stesso, che è la difficoltà insuperata della s~ulazione crociana. È bensi vero che il Croce ha tentato di superarla asserendo che la sua distinzione in forme spiri– tuali è distinzione ideale, e che tutte le attività dello spirito sono com– presenti in ogni suo atto. Ma ciò equivale a dire, in altre parole, che la distinzione stessa è empirica, se pure d'un empirismo superiore e, per cosi dire, di secondo grado, profonda.mente pervaso dal senso dell'unità spiritua,le. E tuttavia resta a vedere se questa stessa obbiezione non si spezzi alla fine contro la legge infrangibile del pensiero, che è di pensare appunto per distinzioni empiriche, - sia pure senza perder di vista la propria originaria unità, - sotto pena di vanificarsi in quella inde– terminatezza dell'atto puro, in quella inarticolata coscienza dell'attualità spirituale che è la notte dove tutte le vacche sono nere. Lo spirito è un dio nascosto che non può essere contemplato che per speoulum et in aenigmate, attraverso la feconda molteplicità delle ,sue distinzioni e opposizioni. Del resto, se la posizione del Tilgher è forte in quanto, viene ad escludere le difficoltà cui accennavamo, non ci sembra che riesca neppur essa a sfuggire a questa legge inevitabile. Si può dar ragione aJlo scrit-· tore allorché afferma, questa suprema caratteristica dell'arte, di essere un atto di vita a sé sufficiente, che si accoglie nella s:ua integrità, che ha rinunciato ad esistere sul piano della volontà pratiça e del desiderio. E, difatti, se la forza del sentimento reale dovesse sempre intendersi pre– supposta alla creazione estetica, non si riuscirebbe a spiegare, a meno di ricorrere a illusori trampoli dialettici, la strana indipendenza del– l'arte dalla biografia, la misteriosa contraddizione per cui il creatore d'infinite figure, il poeta d'infiniti stati d'animo sia spesso in realtà un uomo che in pratica, tali esperienze e casi non ha mai provato. Ma questa caratteristica dell'arte, di essere pura· riflessione del sentimento in sé, isola fuori dal tempo, moto di vita che non diviene ma sta e si contempla,"'è vera anch'essa soltanto idealmente. Nell'atto della crea– zione, allorché l'artista s'adopra a foggiare le sue difficili materie, a trarre lentamente un'immagine dal colore e dal marmo, anche l'attività estetica è « tensione verso qualcosa che le manca e aspira a conquistare », - in questo caso l'immagine, - vita, divisa che anela a reintegrarsi nella propria totalità; anche l'arte non sfugge al destino che è di ogni creazione umana, di nascere dallo sforzo e dal dolore, di sorgere « t 1 a una mancanza». La concezione del Tilgher, se viene ad eliminare le difficoltà delle teorie che in varie forme situa no l'origine dell'arte fuori dell'arte, e sono quindi inadatte a spiega.me l'indole originaria, e creativa, inclina forte– mente verso un altro pericolo, ossia di situare l'arte fuori dalla vita, che è perpetua «insufficienza» di contro all'asserita « autosufficienza» della BibliotecaGino Bianco

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