Pègaso - anno III - n. 6 - giugno 1931

U. E. P .A.OLI, St1idi di diritto attico 739 Da qualche tempo singoli istituti di diritto attico (e in genere di diritto greco) sono trattati anche da giuristi veri, anzi da giuristi grandi, i quali tuttavia si sono formati nella romanistica e considerano involon– tariamente l,e categorie del diritto romano (com'è stata del resto tradi– zione specialmente italiana; sino a trent'a,nn.i fa) come le sole categorie possibili, come qualche cosa di eterno e di connesso con la natura del– l'uomo quale essere pensante, come la traduzione giuridica delle norme logiche, altrettanto ineccezìonabile quanto esse. Solo in questi ultimi anni alcuni romanisti insigni hanno saputo spogliarsi del tutto da tale pregiudizio e pubblicar,e lavori perfetti: io cito soltanto il Rabel e il povero Partsch. Ora grandi cose si attendono da un filologo ancor gio– vane che è insieme anche storico e giurista, il Latte. E vero che il diritto attico, anche considerato in sé, senza akun ri– ferimento al diritto romano, presenta difficoltà, speciali per lo stato delle fonti. Noi non abbiamo, non dico per il diritto greco, ma per l'attico, né Istituzioni né Codice pé Digesto: le epigrafi offrono, com'è loro natura, ben poco; si è ridotti 3/ ricavare le dh,posizioni di legge da allusioni e citazioni degli oratori. Ma quanto alle allusioni gli oratori erano avvo– cati che .scrivevano arringhe, che i loro clienti avrebbero recitato di– nanzi a giurie popolari;· e solevano quindi per interesse travisare la verità a ogni piè sospinto. E quanto alle citazioni, è certo che esse non furono in origine tramandate con il testo delle orazioni, ma furono introdotte più tardi in esso da grammatici. Alcune non sono quelle a.Jle quali l'oratore si riferiva; altre sono state falsificate: e questa falsifica– zione, provata a esuberanza per quelle inserite nell'orazione più celebre dell'antichità, il discorso di Demostene per la, Corona, ha gettato sino a p~hi anci or sono ombre ingiustificate su tutta questa tradizione. Ed è lecito persino il dubbio, se i Greci abbiano avuto un pensiero giuridico nel significato in cui lo ebbero i Romani. Le Leggi di Platone sono costruzione filosc,fica, se pure è provato che esse in molte disposi– zioni riproducono sin nei particolari diritto greco vigente, specie diritto attico. Un giurista fu soltanto lo scola,ro di Aristotele, Teofrasto; ma di questa sua attività si è salvato ben poco. E gloria, per noi che il fram– mento più importante sia stato commentato da un giurista italiano, Vincenzo Arangio Rulz, il quale, corredato di ottima preparazione sto– rica e filologica, ha dato contributi importanti anche alla storia di un diritto più recente, quello dei Greci d'Egitto, il cosiddetto diritto dei papiri, che tanto favore o;ra gode tra gli studiosi di ogni nazione (tra i primi gl'Italiani) sià per l'a,bbondanza dei documenti, sia perché a esso si riconnette il diritto provinciale dell'età dell'Impero. In queste condizioni non sarebbe da escludere neppure che gli Attici nelle loro norme giuridiche (che sono, almeno nella parte costitutiva, anteriori alla filosofia) abbiano potuto persino difettare di conseguenza, che a loro, come non. ci fu una, classe di verl vu1-ispmdentes o i,y,ris ante– cessores, sia mancata, in qualche modo e in qualche misura, la logica giu– ridica, come mancò, sino a tardi e in certo senso sempre, il sistema. A tale quesito non può fornire risposta se non l'indagine particolare. Il Libro del Paoli è formato di tre capitoli staccati: questa com– posizione è legittima e utile nelle condizioni presenti della disciplina, Bibliotec.aGino Bianco

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