Pègaso - anno III - n. 6 - giugno 1931
Vent'anni 727 pore acre che ne fa la bellezza e il gusto. Il cuore ùel poeta ventenne è come una rosa sbocciata fra i pruni, e se ti piace di coglierla e sentirne il profumo, devi fare attenzione a non bucarti il viso e le manine. Egli · ti mostra sempre gli unghielli, ~ non gli adopra, te li mostra sola– mente; e a te, leggendo, vien fatto di gridargli molte volte: « e daglielo un bel graffio!>>. In arte questo è permesso, e si può fare; basta saperlo fare con arte. Nel 1910, G. A. Borgese, s-crivendo sulla Stampa di Torino delle Poesie scritte col lapis di Marino Moretti, e delle Poesie provincial'i di Fausto Maria Martini, intitolava questa poesia: « poesia crepuscolare». Il titolo rimane e rimaITà; e si estese poi, per affinità, naturali co– mund. a tutti i tempi, a tutta la lirica di quegli anni, o in gran parte. Vi furono compresi Oivinini e Gozzano, altri vi aggiunsero, a intermit– tenza, Govoni e anche Saba, e qualcuno anche me. Ma essendo il mio destino sempre complicatissimo, io mi trovo sovente a :figurare in due p'osti, come Sant' Antonio, coi futuristi e coi crepuscolari. Mi pare di sentirvi domandare in quale dei due io preferisca trovarmi, e per sodi– sfare la vostra legittima curiosità vi dirò subito che in questa materia non ho preferenze né disgusti, e mi trovo benissimo in tutte e due le parti, quando mi mettono coi futuristi e quando mi mettono coi crepu– scolari, dispiacendomi solo di non potere essere in tre. E ad onore della giustizia deLbo aggiungere cbe v'è taluno anche che mi mette solo .... Penserete certo che amando tanto la compagnia io mi trovi malissimo, solo e deserto, muto e contrito; macché, anche solo mi trovo benissimo lo stesso. Marino invece storce la bocca a questa definizione, cerca di scagio– narsene, scuotersela dai panni, un po' come fanno i cani quando escono dall'acqua. E pr-ecisamente non gli piace, e si capisce, per l'interpreta– zione falsa che se ne è data poi ; di una specie di inferiorità preconcetta, come se le ore della..giornata, che sono ventiquattro, non fossero tutte belle, create da un medesimo artefice che le cosine faceva bene e in grande, e materia di poesia, tutte ugualmente. Come se chi canta mez– zogiorno fosse qualche cosa di più di quello che canta le sei, mezzanotte o le tre. Tutto sta a vedere come si canta. Non fu chiamato in Francia « decadente» un ciclo di lirica che sta a paragone dei più grandi che vanti l'umanità ? E quei poeti cosi detti « decadenti » andarono molto in su, a dispetto di altri che restarono bassini sicurissimi di salire. Ma è per la cattiva interpretazione che si è fatto di questo appellativo che il Moretti si duole, e giustamente. Il mondo è sempre pronto a volgere le cose dall'altra, parte, quella cioè che non si vorrebbe, e crepuscolare fra noi poco alla volta ha voluto significare grigio, vagamente e indefi– nibilmente malinconico, debole, linfatico, moscio (e di fronte al moscio mi ribello anch'io): cose che non han nulla a che fare col crepuscolo, a meno non si tratti di quello deUe brutte giornate, che sono uguali a tutte l'ore. Io invece vi ricerco sotto qualche ragione, più cervellotica senza dubbio, ma forse per questo più semplice. Noi ci crediamo troppo spesso, o ci vediamo, nella veste del diret- 1blioteca Gino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy