Pègaso - anno III - n. 6 - giugno 1931
726 A. Palazzeschi Donde risulta chiaro che fra quelli che di dentro escono come in ebol– lizione, nei dolcissimi ricordi, e quelli che di fuori con gioiosa impazienza pigiano per entrare, si ha l'illusione perfetta d'essere diventati la porta di un· caffè. Con quelli che oggi ne scrivono avemmo insieme vent'anni, e i loro due libri sono qui, vicini al mio cuore, dopo avermi fatto fantasti~re, frugare, mettere a ia;oqquadro non soltanto i più riposti angoli della me– morfa ma quelli bensi dei miei non sempre ordinati cassetti. Il primo è di Fausto Maria Martini: Si sbarca a N~w York, Monda-– dori, Milano; e l'altro di Marino Moretti: Via Laura, Treves, Milano. Uno nemmeno sa quanto li abbiamo vissuti accanto senza cono– scerci, il ,secondo invece lo sa anche tro'Ppo. Il libro di Fausto Maria Martini è la ricostruzione sentimentale (e il poeta si abbandona franco al sentimento) del gruppetto romano nel quale campeggiò, in quella pl'ima ora, un poeta morto tisico a ven– t'anni: Sergio Corazzini; la cui morte cagionò si profonda impressione e dolore nel cuore dei suoi amici, ventenni come lui, che se ne andarono dopo raminghi per il mondo, fino in America, a Nuova York, seguendo la più romanzesca avventura, candidamente descritta dal poeta (e da questo candore risulta l'evidenza della descrizione), e giungendo a fare, per vivere, gli albergatori di uomini senza fissa dimora e i lustrascarpe, rimanendo irrimediabilmente poeti. Il libro di Marino Moretti invece rico,struisce l'ambiente intellet– tuale fiorentjno al colmo dell'èra dannunziana, 1900-1910, nel momento in ,cui la dittatura del D'Annunzio prende il posto di quella del Car– ducci; quasi che in Italia, un paese tanto bello e tanto grande, non ci sia posto che per un poeta .solo. Purtroppo è ,cosi; e fra i due, elevati come giganti di macigno nel deserto, vedremo passare con la coda fra le gambe un Pascoli o un Verga,, rassegnati alla loro parte cli figure secondarie. È il tempo felice della Capponcina, l'ascesa del poeta d'Alcione, insaziabile di rumore e di lode, che sembra reclutare per sé ogni cantuc: cio, aspirandovi l'aria alla vita, dei giovani virgulti. Tutti gli -snobismi si accentreranno lassù, risplenderanno fra gli olivi di Settignano, nella casetta remota e modesta, ridotta internamente un bazar del rinasci– mento. E c'era a Signa una fabbrica che lavorava giorno e notte a sfor– nar terr,ecotte riproducenti Della Robbia, Verrocchi, Donatelli, Miche– langioli; statue vasi 1;11 sedili, non troppo comodi ma belli certamente; e tutti potevano procurarsi, anche i più poveri, con quarantotto cente– simi, almeno una Gioconda o una Beatrice di gesso. Alle smorfie •senti– mentali dell'ottocento, stucchevoli, succedevano queste estetizzanti, pla– stkhe, stucchevoli due volte; e molte creature semplici, poco addestrate ai salti mortali dello spirito, ne uscirono malconcie dopo avere abdicato alla loro semplfoità. Al Moretti, capitato in ·Firenze dalla sua Romagna, proprio in quegli anni, questo clima, e tutto questo sperpero della bellezza non piaceva né poteva piacere; e il sentimento, nel suo libro, non corre liscio, che l'ironia gli attraversa J,a strada ad ogni passo, dandogli spesso un sa- BtbliotecaGino Bianco
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