Pègaso - anno III - n. 6 - giugno 1931

. Antonio Mancini pittore 713 osservò: - Ohe senso del disegno avevano gli antichi! Come si può, in questo, far meglio di loro? Mancini, davanti alle opere proprie, era ugualmente severo come davanti a quelle degli altri. La sua produzione la considerava come una serie di tentativi, di cui ben pochi egli stimava che fos– sero riusciti. E quando mi mostrava qualche suo quadro, che a lui piaceva, mi domandava: - C'è dentr() qualche cosa, no? Almeno a me pare. Nei suoi quadri poi, di una cosa non era affatto entusiasta: della sua tecnica. Perciò, dopo aver parlato dei pittori antichi, che egli ammirava di più, finiva sempre per concludere: - E che bella tecnica! che bell' impasto ! Un giorno, in un caffè, una bellai signora venne a sedere proprio al tavolino davanti a noi. Un giovine pittore sùbito esclamò: - Ohe bella donna ! che bel modello, Mancini ! Egli la guardò un po', poi tranquillamente disse: -'-- Io non la sento la bellezza; sento molto più la bontà. - Infatti, quando ve– deva dei bambini, si eccitava di gioia e ripeteva : - Ohe bella espressione di innocenza! che bell'angioletto ! E questo spiega· l'uomo e l'artista. Alle passioni umane egli prendeva ben poca parte, perché tutta la sua vita era concentrata nella pittura, a cui pensava tutto il giorno e tutti i giorni. Dovunque fosse e con chiunque fosse, il suo spirito era sempre in funzione di pittore : sempre intento a sentire e osservare il valore dei toni della luce sulle forme visive. Perfino per la strada, ogni tanto si fermava, socchiudeva gli occhi e con le dita tagliava ideal– mente il quadro della sua momentanea visione. Concentrata cosi e semplificata la vita umanar in una sola pas– sione, la pittura, la sua esistenza terrena evitò tutte le delusioni, che sogliono cagionare agli artisti l'ambizione, il desiderio di de- naro e l'amore. · Anche nei tempi suoi più miserabili, quando cedeva i quadri in cambio dei tubetti di colore; egli viveva serenamente, perché la sua unica passione veniva pienamente soddisfatta dal lavoro quotidiano. Mancini era piccolo di statura e aveva piccole mani. Nella destra teneva sempre una mazza, che, stando a sedere, egli reggeva spesso con le dita unite come un pennello. LIDANDRO OzzÒLA. BibliotecaGino Bianco

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