Pègaso - anno III - n. 5 - maggio 1931

540 M. Bonfaritin'i un excentrique sans faculté génératrice. Il y a trente ans, à, Berl~n, j' ai eu la mème impression après avoir entendu L' Enfa,noe dlu Ghnst exécutée sous sa direction meme. Je ne trouve pas chez lui l'art sain et fécond, la, beauté solide et vraie. Liszt do-it étre dè sa lignée. E non si dica che sono opinioni staccate, baleni di genio fram– mezzo ao'li errori: raramente si trova un giudizio di Amiel su un i:, - •• uomo o su un'opera (purché sufficientemente e volutamente limi- tato) che non sia acuto, :eieno di equità, spoglio di arbitrio e di partigianeria, caldo di 'simpatia umana, anche davanti ai difetti. Ho abbondato in citazioni perché si tratta di un pregio troppo spesso negato o trascurato al Nostro dai suoi critici, che esaltano poi attitudini molto più incerte. E mi lusingo che in questi brani si scorga qualcosa di più della bella trovata, di un uomo di spirito, ma un perfetto istrumento abilmente adoperato, una prontezza che viene soltanto dalla sicura capacità, una intelligenza così lim– pida che trova senz'altro l'espressione letteraria perfetta. E così si potrebbero citare brani più lunghi e complessi, su Topffer, Vinet, Doudan, Sainte-Beuve, Joubert, Guérin, Cherbuliez, che nulla hanno da invidiare, come puro giudizjo letterario,' alle pagine mi– gliori di Sainte-Beuve, e sono spes1-10 assai più equanimi; un « bi– lancio>> di Victor Hugo che raggiung~ in alcune battute la grande maniera critica di un Baudelaire, e non gli sta indietro per la net– tezza dello stile. Eppure da quel migliaio circa di pagine a stampa che noi abbiamo, e forse da tutte le sedicimila manoscritte del suo Journal, dubito che raccogliendo codeste perle critiche se ne possa fare un opuscoletto anche soltanto di cinque o sei sedicesimi, ché molto ristretta è la cerchia di autori esaminati. Incapacità di esten– dersi, aridità di mente? No, gli è che il suo giudizio non approva questi liberi sfoghi, o li ammette solo come stati d'animo, come do– cumenti del suo mutevole pensiero. Non intendeva che bastava per– severare in questo sincero studio· qualche centinaio di pagine per fare un bellissimo libro, che bastava la giustezza del suo gusto, la ricchezza della sensibilità, la comprensione umana, a giustificare i giudizi e dar loro una portata universale. Gli pareva che biso– gnasse salire subito a riflessioni generiche sull'arte dello scrivere, e peggio, sui popoli, sul carattere della nazionalità; tentativi as– sai rischiosi, legittimi soltanto per chi ci riesce bene, e cioè per chi poggia su un sistema filosofico o su una estetica chiara e precisa, sicura inter·prete del gusto di un'epoca: su tutto quello che a lui precisamente mancava. Egli non aveva, che una vaga aspirazione al– l'universale, e una pronta facilità dialettica e i suoi tentativi di ge– neralizzare sono le cose più curiose del mo~do. Eccolo (17 luglio '77), dopo aver discorso assai bene sull'arte di BibliotecaGino Bianco

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