Pègaso - anno III - n. 5 - maggio 1931
536 M. Bonfantini eludere solamente all'« homo sapiens>>, all'erudito, e gli faceva or– rore. Non vede che appunto il risoluto impegno di tutta la nostra passione in qualche impresa, sia pure «pratica», purché si conservi tanta libertà morale che basti a, giudicare noi stessi operanti, è quello che riscatta quanto essa può avere di utilitario, e conferisce valore universale alle nostre azioni terrene. Hegel gli aveva dato l'aspirazione vaga all'universale, la tecnica astratta del dialettico, ma egli non aveva saputo trarne la profònda, convinzione del come il pensiero universale trapassi e si identifichi in ogni azione par– ticolare. Nella pace solitaria del suo studio inneggia alla libertà morale, alla quale tutto ha sacrincato, successo mondano, affetti terreni, la fama, forse la gloria; ,è libero da ogni legame terrestre, è tutto spirito, « formalité pure>>. Ma la libertà vera si sente, si possiede solamente nei contrasti, negli urti contro gli ostacoli, nello sforzo di superarli, poiché non c'è libertà senza vittoria, e non ci può essere vittoria senza nemici. Ma la vera virtù non è qualità tra– scendente, si crea in noi ad ogni atto, vivendo e operando, senza di che essa è solamente e propriamente << nome vano nel mondo». Virtù e libertà trascendenti sono forme di rinuncia, buone per un asceta: in un uomo che vuol viver la sua vita possono parere egoismo. E Amiel non è un asceta, non è un rinunciatario, o non lo è che suo malgrado. Soffre di non potere agire sugli uomini, soffre persino di essere misconosciuto, di non godere tra i dotti e tra i cittadini la stima che gli compete, che converrebbe alle sue possi– bilità: e sente oscuramente che in questo c'è pure giustizia, perché non ha fatto quasi nul1a per acquistarsi considerazione, e si ripro– mette umilmente, dopo un colloquio col caro amico, di fare un bel libro che possa far piacere a. Heim, << a lui e a Scherer » (20 set– tembre 1866). S9ffre, e giustamente, perché gli allievi del suo corso di filosofia all'Università forse non lo seguono né lo apprezzano quanto vale; ma gli pare che per conquiderli dovrebbe scadere, ricorrere a in– degni espedienti, abbassare il suo livello, e non s'àccorge che è sol– tanto questione di calore e d'umanità. E anche questo suo desiderio di influire su di loro è troppo effimero per esser fecondo; perché alla fin fine ogni azione gli pare o interessata, e perciò spregevole, oppure, se disinteressata, dal punto di vista filosofico puramente gratuita, e perciò inutile : perché << i quaranta milioni d'uomini della Francia non contan nulla per un selenita o per un abitante di Giove, ed essere una monade cosciente, un nulla che si conosce come l'immagine microscopica dell'universo, è tutto quello cui noi possiamo pretendere». Mancandogli la chiara idea del ponte, del naturale passaggio tra pensiero e azione, ne intravede però talvolta la, necessità; e allora BibliotecaGino Bianco
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