Pègaso - anno III - n. 5 - maggio 1931
530 G. Civinini chiacchierii, squilli di riso, tintinnii di cristalli, sciampagna, sciampagna sciampagna.... Che cara gente, quei negri! Quel a1nour, quella piccola Gneregné ! Un gran bell'uomo, _dar:linf, ~uel Bigulé Bigulai !... A poco a poco la notte pareva farsi più _tiepida, più languida. Le epidermidi riscaldate vaporavano odore di brn,nco e di nero, di unguenti africani e di essenze parigine. Il riso delle donne aveva note di falsetto, o gorgogliava basso nelle belle gole rovescie. Il tepore cresceva, cresceva. Il vento molliccio, vellutato, cronfiava le tende portava dal difuori musiche lamentose di zufoli b l di schiavi, voci rauche di vecchi grammofoni ubriachi, stridi di scia- calli mugoli di iene; portava odori di selve e di pantani, di carogne e di' gaggie, di covili e di capanne, di deserti e di stelle. Attratti dalla luce, ogni tanto grossi scarabei cornuti attraversavano come pallottole di fucile i buchi delle vetrate e s'infilavano ~elle torri dei gelati. Le coppe dello sciampagna si riempivano di farfalline gialle e nere come d'una pioggia palpitante di petali voluttuosi e funerei. Ma Sua Altezza Gneregné Uerk, ruscello d'oro, passeretta d'oro, gazzellina d'oro, era triste da morire, in mezzo a tutto quel bai– lamme, e si sentiva più magra e più gelosa che mai. Quella era la sua nascosta pena, quello il suo incessante tormento. Gli imperiali zii pareva lo facessero apposta per farla sfigurare anche più, per accrescere ancora la sua vergogna, a mandarle quelle loro dame grassone, che erano fra le donne più belle e ammirate di tutto l'Im– pero Unito. Quando arrivavano, come s'illuminavano gli occhi del suo bel Bigulé Bigulai ! Il quale era davvero un bellissimo uomo, solido come un bnfalo e snello come un leopardo, ed aveva fama di amatore gagliardissimo. Che cosa poteva dunque rappresentare per lui uno scricciolino grazioso si, ma nulla come donna, qual'era quella sua mogliettina? Nelle terre dell'Impero Unito, la bellezza femminile era ancora quella che settant'anni prima vi aveva tro– vato in onore il capitano Speke, grazie all'ingrassamento artificiale a cui le donne erano sottoposte fino da bambine. Pinte di latte e cesti di patate dolci bollite da mattina a sera, e immobilità asso– luta: come oche di Stra.sburgo. E se. facevano i capricci, un po' di frusta. Quand'erano appena giovinette e andavano a marito, povere creature, 'erano già grasse e tonde come caciottelle. Lo Speke prese le misure a una principessa del tempo, una cognata del Re, che dalla gran ca,rne che a,veva addosso non poteva neppure stare in piedi e camminava a quattro zampe. Questa Venere-peso-massimo a:eva settanta centimetri di cir•conferenza del braccio ; novanta di circonferenza della coscia. Di altre misure lo Speke non dice ma, sono da imaginare! ' Ora le tradizioni continuava,no. Nell'Impero Unito di Ngula I, la grassezza della donna era non solo bellezza ma distinzione el'e- ' ' BibliotecaGino Bianco
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