Pègaso - anno III - n. 5 - maggio 1931
J. ESTELRICH, Catalunya endins ecc. 637 ------------- i tempi pieni, dice chiaro il suo pensiero; a un tale infatti il quale gli faceva osservare che se i catalani avessero speso in armi quel che avevano speso iu libri a quest'ora sarebbero liberi, egli rispondeva queste testuali parole : « Certamente avremmo agito così se fossimo castigliani. Tutte le guerr.e d'indipendenza ,contro la ,Spagnllf si sono fatte in castigliano. Quel che di più duro si -è scritto contro la Spagna lo si è scritto in ca– stigliano ». Tutto il libro è un po' su questo tono. Che cosa vogliono i catalani, lo diceva fin dall'anno scorso Estelrich senza tanti complimenti: rivo– luzione: « La ·rivoluzione è la prima necessità oggi per il popolo spa– gnolo; occorre un po' di disordine esterno per compensare l'eccesso di ordine interno, la nera monotonia degli spagnoli». Se poi si volesse sopprimere il catalanismo, soggiungeva, basterebbe portare a Barce}Jona la capitale della .Spagna. Madrid in poco tempo sarebbe ridotta a città di provincia; Barcellona invece arriverebbe rapi– damente a due milioni di abitanti e sarebbe indisèutibilmente la priiilla città del Mediterraneo, e tutta la Spagna, senza dubbio, ci guadagnerebbe. Pretese forse eccessive; tanto più che lo stesso Estelrich riconosce in un'altra parte del suo libro non -solo che i catalani hanno impiegato quattrocento anni a voler esser spagnoli senza mai riuscirvi, ma anche che i catalani non vogliono né obbedire né comandare, mentre invece i castigliani hanno proprio il gusto e la passione del comando. E allòra par quasi più chiaro e più pacifico il discorso di un altro spagnolo, Agu– stin Calvet (Gazicl), il qua1e, occupandosi tempo fa della questione ca– talana, dicéva press'a poco così: il catalano, nato dalla comune madre Roma nella remota epoca dei parti linguistici, fu uno dei principali idiomi-del Medio Evo; lo parlarono e lo scrissero re, principi e alti di– gnitari, e gli scrittori catalani ebbero un giorno larga influenza in tutto il Mediterran,eo, da Barcellona, a Costantinopoli. Poi, sul più bello, agli inizi del Rinascimento, decadde; non c'è al mondo un esempio più tra– gico di come scompare dalla storia un popolo in massa, del rapido e inverosimile crollo della Confederazione catalano-aragonese cent'anni dopo il suo straordinario splendore. E dal secolo XV alla seconda metà del secolo XIX il catalano tacque, sicché, quando i nonni dell'attuale generazione vollero trarlo dall'ombra, ripulirlo e usarlo anc6ra, do,vet– tero far grandi fatiche perché ormai era completamente avvilito e im– barbarito. Di qui forse nacque la leggenda assurda, incredibile, che la Catalogna fosse un paese e una cultura dominati e soggiogati dalla Ca– stiglia. Niente affatto; i castigliani ebbero l'egemonia su tutta la peni– sola iberica perché seppero meritarsela; e in quanto ai catalani essi hanno avuto il torto di voltar sempre le spalle a Madrid e al cuore della Nazione. Il discorso è serio, ma nei dibattiti politici quel che più conta è la passione, non la ragione; e il catala,nismo, come ho detto, è stato fino a ieri .so;pra tutto passione, avventurosa, e romantica,, alla quale hanno dato fiato e calore poeti giovenilmente vivaci e intemperanti; poeti che infiammavano il paese esaltando il sogno della « Piccola Patria» desi– derosa di libertà e tracciavano programmi audaci di riforme, di rivolu– zioni e di un nuovo ordinamento federale che dovrebbe risolvere tutti i BibliotecaGino Bianco
Made with FlippingBook
RkJQdWJsaXNoZXIy