Pègaso - anno III - n. 5 - maggio 1931

628 Lettere di Iacopo Novaro ai s1ioi genitori nel piacere con cui egli racconta al babbo e alla, mamma la sua « sco– peJ:ta di Roma n, I.anu?va vita, i primi incontri m?ndani, le s~d?isfazioni che gli vengono daJl'mgegno e dalla persona piacente; qm e la bella ino·enuità e la freschezza di tutti i giovani; e quel loro lucido trascorrere– su~li a,rgomenti, quella felicità naturale di vivere e d'intendere che poi non è più. Ma c'è in lui anche una istintiva attenzione alle cose serie, un naturale comples,so giudizio sui fatti e sulle persone, una molla centrale di vita, per cui è uomo. Do,,e il giovane Novaro tocca, tocca bene. In quel tu'rbinoso inverno romano tra, il '14 e il '15, egli è .subito per l'in– tervento; ma, interventista di una s.pecie piuttosto rara. Il 19 novembre visita un amico: « Ci incontrammo e lasciammo convinti estimatori (barbarie a parte) della forza germanica. Di tali estimatori ne trovo molti qui e sono, fra, gli italiani, i più latini, forse. Che certi i~liani i quali esaltano a spada tratta la, sola latinità e si credono latiniss;imi non somiglino invece ai tentoni, ma in questo solo difetto, dell'avere anguste e unilaterali vedute?». Tra i suoi maestri aUa Sapienza preferisce forse il più difficile, il Simoncelli docente di istituzioni di Diritto civile: « è valoroso davvero: non parla, incide, scolpisce : e trais-cina n. Matteo Pantaleoni : << È un intelligente, nn geniale: ha però una certa, difficoltà di espressione che unita a un temperamento estremamente nervoso lo rende a volte biz– zarro. Certo tutto ciò che disse mi parve ovvio, non solo perché eran cose che potevo già avere direttamente apprese dai libri, ma perché mi son già fatto l'abito a questa materia, il che significa <possedere subcosciente– mente quelle verità che magari nella sistematica for:mà, dottrinaria e scientifica non si sanno». Va al .Senato: « Che piacere sentire nella chiara e vigorosa voce di Salandra vibra.r la co:rda della onestà e pulizia politica! I vecchioni applaudivanò- JJ. Avvicina, De Lollis, Chiovenda, Borgese, Bodrero, Maggiorino Fe:r– raris, e di ciascuno dice quella parola che distingue e intende; Giovanni Cena lo invita a collaborare alla compilazione della Nuova Antologia per la rubrica della stampa estera. Ascolta musica, prende lezioni da Bossi; i nomi di Beethoven, di Mozart, di Wagner tornano frequenti nelle sue lettere. Sente la, musica come parte di sé; e perciò gli di– spiace certo ,snobismo musicale romano : « A p•roposito di musica : ri– confermo la mia meraviglia pe:r l' assenza com,pJeta delle sinfonie di Beethoven da.i concerti dell'Augusteo. Bodrero giustificava questa as– senza col dirmi che Roma era, ormai satura di B. avendolo udito inter– pretare da tutti i grandi maestri. Dunque il piacere sarebbe nella varietà delle interpretazioni? Non è l'opera per se stessa che ce lo dà ? Bee,.. thoven udito da un solo interprete sarebbe dunque monotono? JJ. E un'altra volta: « Trovai il maestro XXX .... Suona assai bene, ma .... Si direbbe che costoro oltre alla tecnica esteriore ricevano in prestito anche ciò che dovrebbe essere il proprio fervore personalissimo, e se l'adattino come una maschera, che però portano molto bene. Ripeto, si sente in loro non il nativo ma il divenuto JJ. È il giudizio vero, direi il secondo giudizio di uno che intende. Al teatro: « Sono stato alle Nozze dei Centauri. Siamo in pieno secentismo J>; « ieri per la prima volta intesi Pigmalione di G. B. ,Shaw. BibliotecaGino Bianco

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