Pègaso - anno III - n. 5 - maggio 1931
622 M. RAPISARDI, Raooolta di poesie soelte dai poemi e dalle liriche verso questo legarne, il poeta può attingere una serenità e riversarla sulla vita univevsale che ignara di fato, di Dio, di luogo, di tempo, di mira, beata in un. florido oblio l'eterno presente respira. Son questi ultimi i versi in cui Mario Rap_isa;di _meglio_ con.chiuse la sua concezione della vita: e valgono come 1spiraz10ne più d1 gran parte dei poemi, in cui credette chiudere il verbo ti.ella .scienza: sono il suo umano e tenero senso della vita. Ma purtroppo l'insieme della sua oper.a non convince, e anche un'an– tologia delle sue cose migliori delude. So bene che rare volte sri desidere– rebbe aver torto nel proprio giudizio, coml.'lne,l parlare di Mario Rapi– sardi: quasi il negargli l'alloro che egli MI1bi sia ,segno di poca pietas umana, verso un cosi candido e strenuo alunno delle Muse. Al Vaccalluzzo tocca la lo.de di un fervido lavoro dal quale, comun– que la si giudichi, esce int era e illuminata da ogni parte la figura di Mario Rapisardi. FRANCESCO FLORA. Nrno SAVARESE, Sto·ria di un brigante. - Geschìna, Milano, 1931. L. 12. Tra i narratori d'oggi, che 1sontanti, modesti e facili o intrepidi e ermetici, idillici, drammatici, realisti, magici, minuti o bravi, stretti o sovrabbondanti, uno che .sia narrator.e soltanto, si accontenti di risolver tutto nella cosa n;:i,rrata e, sopra ogni altro, non si divida ogni volta in due, tra narrare e descrivere, e non esca nell'enfasi né gareggi con la pittura, uno• dico di vena, curioso d'inventare e di mantenersi vivo da pagina a pagina con questo gusto solo, antico, nostro, apertissimo, a volerlo cercare non si trova. E vi f'!Onquelli, i difficoltosi, gli esquisiti, i sibillini, che tempestan di più, che più si fan forti a ipotecare il futuro, e che sostengono che il futuro, con pace dei vinti, -sarà tutto loro. E sia! Nino Savarese noi lo diremo il narratore se:nz'aggettivi, il narratore puro. Pubblica ora questa Storia d'un brigante, e cominciò tant'anni fa con una dozzina giusta di novelle, le Novelle dell'oro (1913), provinciali, della sua terra, e letterarie. Ci volle coraggio a cominciar cosi, in per.– fetto discredito dell'arte narrativa,, e con quel « malessere lirico» che fu proprio del tempo, e certo gli doveva covare già dentro, se negli anni seguenti gli sacri.fìeò tanta industre pazienza di scrittore. Dopo le No– velle dell'oro infatti, parve pentirsi di quel suo dono schietto, di ma– niera anc6ra ma schietto; e fu trascinato dall'esffillpio dei più. Portava anche, in EJé, un'esigenza di moralista, ma la spremette nel lambicco della lirica capillare, e in possess.o d'una esperienza, che gli conveniva allargare con l'esperienza, per dire in modo umano e diretto, come si a,ddice a un moralista, e lavorar di stile solo per acquistar più luce e fermezza, non lasciar ombre nel lavoro di scoperta, bruscamente la di– stolse e caricò di pericoli, dietro uno studio complicato di parole che, BibliotecaGino Bianco
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