Pègaso - anno III - n. 5 - maggio 1931
Come si pubblicano i nostri classici 607 alla corrispondenza delle rime, alla misura dei versi (tre cose che sono per il critico ,come il polso e la lingua, del malato per il medico), per iliccorgersi subito ch'essa è poco più che una riproduzione materiale di testi manoscritti; qualche altra occhiata qua e là, che ci rivela errori manifesti lasciati stare anche quando la correzione si presenta facile e sicura, e n'abbiamo assai per concludere che si tratta di un'edizione. fatta dl;Lpersona che non aveva gran familiarità con siffatti studi o che non. volle spendere in questa faccenda tro•ppo tempo e troppe cure. Ora, i recenti .editori sono stati critici della medesima taglia. Fissi nell3J ne– cessità del « rispetto assoluto al testo bonaccorsiano », hanno creduto che bastasse spostare qualche virgola per fare di quell'edizione un testo passabile: e quindi non riscontro di manoscritti per i punti più oscuri o che addirittura non danno senso; non riordinamento delle stanze se– condo che esige i~ complesso della lauda; nessuna cura di ristabilire la misura dei versi e la corrispondenza delle rime, e neppure di distin– guere come richi,ede il contesto i falsi aggruppamenti di lettere soliti a trovarsi nei codici e nelle stampe antiche. Mi consenta, ca-ro Oj,etti, qualche esempio anche qui, perché niente meglio illumina il discorso che gli esempi. Trovando' nel Bonaccorsi cc vecchi e· descaduti I ca, dopo eran perduti >>, non basta levar la virgola dopo ca per dare un senso ai due versi; bisogna anche ridurre ca dopo a c' ad opo, per poter inten– dere : ' vecchi che eran perduti a ogni faccenda, a ogni necessità ; che più non potevano provvedere a, se stessi'. Dire d'una ' famiglia spreca- - trice ' che cc el ben suo son maneca,to » non sta né in cielo né in terra; ma tutto -è a posto se si legge s'on (si hanno, ed è forma frequente in queste laudi) manecato. E cosrì.dove il Bonaccor-si ha latratti faceva wn– dare, se stampiamo là tratti, è peg·gio che anelar di notte; qui •si parla di rattrappiti (e quindi l'atratti), e sta bene che la 'gran devozione' faccia, camminare chi è impedito. Io ho a questo modo, ri1egg·enclo Iaco– pone nell'ultima edizione Laterza, ripieno il mio esemplare cli correzioni facili, evidenti, certe (con vantaggfo anche del glossario, che ha esso pure bisogno di molte cure) ; e ciò dimostri che far meglio di quello che è stato fatto sin qui non è davvero cosa ardua. Ardua sarà un'edizione critica, da soclisfare ai bisogni della ,scienza, perché richiede anzitutto uno studio sulla formazione degli antichi laudarii, che è da sé sola (e può dirlo chi ha dovuto far qualche cosa di simile per i canzonieri dei secoli XIII e XIV) un'impresa da far tremare ogni cuore più sicuro. Tuttavia oggile cose sono più facili che trenta o quarant'anni fa, quando non si aveva l'aiuto della fotografia per la riproduzione dei manoscritti a cosi buon mercato; e poiché l'Accademia d'Italia s'è assunta essa il lavoro, non c'è che da augurarsi che si trovi da metterlo in buone mani. Un altro caso e ho finito. Lei sa la resistenza che si oppone da certi critici al proposito ragionevole e doveroso di mantenere agli antichi scrittori la loro lingua: non dico la loro grafia. Ma nessuno è mai giunto a pretendere quello che ha fatto Francesco Foffano ristampando il poema del Boiardo per l'Utet. Mentre in rima è costretto a conservar conti– nuamente graccia per grazia, cazza per caco-ia, lazio per laccio, /asso per faccio o per fascio, baso per bao-io,conosse per conosce, gioglia per gioia, gagl-ia per gaia, calla per cala, hano per hanno, ascoltati per BibliotecaGino Bianco
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