Pègaso - anno III - n. 5 - maggio 1931

606 M. Barbi bella collezione· e quanto al corregger da sé, ci ho i miei dubbi se sempre sia possibile a tutti. Leggiamo nel canto IV del Morgante che Rinaldo Baiardo sprona e tempesta col morso, tanto che presso a quel drago l'ha porto : sa.ranno molti che sotto a quel tempesta riusciranno a indovinare un témpera, pensando che due sono gli atti del buon guidatore, eccitare e frenare a tempo? _ Ma restiamo nel campo dei problemi critici. Quello del Morgante non è in sé difficile s,e, come il nuovo editore si è proposto, s'intenda di ri– produrre il testo definitivo del 1483, salvo a, correggere qualche evidente trascorso col sussidio delle edizioni antecedenti. Ma certo non è neippur tutto piano, come potrebbe essere una rip:roduzione materiale, perché convien provvedere all'interpunzione, che è mancante del tutto nelle stampe originali, e perché bisogna chiarire ìl testo là dove il gergo del– l'autore div,enta sibillino per il lettore d'oggi, e non soltanto per il let– tore comune: la collezione Laterza se non ammette note dichiarative a piè di pa,gina (e per certi testi .sarebbe necessario), ammette pur glossari e note·storiche e bibliografiche in fine. Ora G. B. ·weston non solo non è riuscito a riprodurre esatta.mente la J.ezione del 1483 (e il riscontro della sua stampa con le fotografie di quella antica mostra qùanto la sua collazione lasci a, desiderare non dico per minuzie fonetiche o morfolo– giche, ma per ya,rianti di senso); ma anche nell'interpunzione, cioè nel– l'interpretazione del testo, dove s.'è allontanato da, quello dei suoi prede– cessori che dt solito ha tenuto d'occhio, vo' dire da Guglielmo Volpi, per lo più sbaglia-, ,e quello che nel Volpi era da correggere, lascia, taJ quale. E di glossario neppure una riga! Ci dà perfino un indice di remi– niscenze mitologiche e classiche, bibliche ed evangeliche, ma niente di quello che era aissolutamente necessario. In dubiis abstine. Difficilissimo assunto è invece una buona edizione di Iacopone, e vedere con che preparazione parecchi, in questi ultimi anni, ci si son messi dattorno è cosa che fa trasecolare. Che Ernesto Monaci volesse riprodotta letteralmente fra le pubblicazioni della Filologica romana l'antica stampa, del Bonaccorsi per render comune un testo che foss~· fondamen'to e punto di partenza a, nuovi studi su quel laudario s'intende benissimo; ma che- sia, un'edizione da potersi presenta.re con semplici ritocchi di grafia o di punteggiatura come su: ffi.cientemen te corretta per le persone colte e da bastare provvisoriamente ai btsogni degli studiosi, questo no e poi no. Non metto· in dubbio che il Bonaccorsi, o ,.,hi per lui, facesse cercare a T·ocli manos:Critti delle Laudi n~lla fiduci:a che là si trovassero i testi più genuini, e·che n'avesse « du,e copie cavate stu– diosamente » da due esemplari « assai antichi » e dei « più copiosi e migliori » che si trovas,sero in quella città; dico che lo studioso moderno, in tanto progresso delle scienze filologiche, non può prender tutto a occhi chiusi, e ha l'obbligo di sostituire il suo cauto e più illuminato procedi– mento a, quello un po' troppo semplice che era in uso a, quei tempi, anche se nell'ordinare le laudi e nel preparar.e la copia per la stampa, ci fu di mezzo il parere di « più persone divo.te e spirituali». Basta prendere in mano quell'edizione ,e dare un' o•0chiata alla composizione delle stanze, BibliotecaGino Bianco

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