Pègaso - anno III - n. 5 - maggio 1931
590 I. Piz11etti And~i infatti a trovarlo la domenica mattina al Baglioni, l'albergo dov'egli era sceso.. Nop era soltanto domenica, era anche un giorno di s'ciop,ero generale. Tutte le botteghe chiuse, i tranvai fermi, le strade quasi deserte: e sul volto della poca gen~e che s'in~ontrava quell:es~res: sione tra il fastidio e la vergogna che rivelava chiaramente, nei giorm allora frequenti di sciopero, il sentimento più comune: la vergogna, so– pratutto, di subire un disagio che era nello stesso tempo un'umiliazione,' e che proprio come umiliazione veniva imposto ai cittadini dai capo– rioni democratici, i quali sapevano benis,simo che nove volte su dieci gli scioperi da loro ordinati non avevano nessuna giustificazione; ma i cittadini remissivi e pa,vidi s~ li meritavano, e quei caporioni ne ordina– vano uno nuovo ad ogni settimana, e ridevano, e avevan ragione. In Conservatorio, dal 1'acchinardi, Consolo ,sarebbe andato la mat– tina dopo. Intanto, passeggiando meco per le strade lì intorno a,ll'al– bergo, tra Piazza dell'Unità e Piazza del Duomo, mi domandò notizie della scuola che avrebbe dovuto diventare sua, dei musicisti che stavano a Ffoenze, e di altre cose che potevano interessarlo. Era la prima volta, che parlavo con lui non fuggevolmente: ma lo ascoltavo senza sorpresa. Come se avessi già saputo, prima, di trovarlo così com'era: di una gentilezza naturale ma senza affetta~ione, di parole non inutilmente abbondevole ma chiaro e preciso: e quando ,si trattava della sua arte, non mai ,presuntuoso o s,uperbo,, e nemmeno modesto oltre il credibile, ma semplicemente consapevole del suo valore: un uomo, insomma, di rara distinzione: un .signore. Che cosa-si dissero e come si misero d'accordo Consolo e il Tacchi– nardi la mattina dopo, quand'io li ebbi lasciati sQli, non so, ma poco importa. Il fatto è che di lì a poche settimane Consolo to-rnàva a Fi– renze, professore di pianoforte all'Istituto Musicale. All'I,stituto Musicale di Firenze siamo ·stati colleghi per una die– cina d'anni: e amici, ogni anno di più. Nei giorni tristi e dolorosi, che s:ono stati molti per lui e molti per me, egli non mi ha mai sentito lontano, ed io non ho mai avuto bisogno di chiamarlo, ché me lo son ~ trovato sempre vicino: serio, di pochissime parole, ma virilmente cor– diale come pochi. In quanto artista, - oltre alla emozione che mi hanno dato le sue esecuzioni di musiche belle: e le esecuzioni in privato, nel suo studio o nel salotto di casa sua, :non meno di_quelle pubbliche, -– gli debbo la prima commossa esecuziòne di quasi tutte le mie poche musiche cla camera, e, prima ancora, l'incitamento a scriverle. A vederlo, solido e ben piantato com'era, e anche a guardarlo quando sonava in pubblico, Consolo pareva un uomo sicuro di sé. Ma, come tutti gli artisti veri, era cli fronte alla sua arte un timido. Quando doveva uscire per sonare in pubblico, ,s'irrigidiva come un soldato davanti al suo generale, stringeva le mascelle forti e quadrate, ~ usciva a testa alta guar– dando il pubblico in faccia quasi dicesse: « Son pronto! ». Ma come si era seduto davanti alla tastiera non vedeva più nessuno. Chinava la testa, stava un momento sospeso, con le mani a mezz'a,ria, come attendesse una parola segreta, e poi risolutamente attaccava la prima nota o il primo a-ccorclo. E fosse anche un'espressione di dolcezza, si sentiva BibliotecaGino Bianco
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