Pègaso - anno III - n. 5 - maggio 1931
\ I Ricordo di Ernesto Consolo 589 Adieum di Beethoven e la Fanta.na in fa minore di Chopin. Dirò di più: e cioè che ogni qual volta ho poi ripensato o riudito le due bel– lissime opere, ho risentito l'eco e il desiderio di quell'accento profondo e persuasivo che in quella sera lontana me le fece per la prima volta conoscere e comprendere e amare. Com'era quell'accento, e perché era, persuasivo? Potrei rispondere che era tale perché non veniva di desiderarne un altro : e sarebbe, in fondo, la risposta più giusta. Ma posso aggiungere qualcosa di più preciso: che, ,per esempio, Consolo eseguiva il primo tempo della Sonata di Beethoven con quell'impeto appassionato che ad ogni interprete dovrebbe essere suggerito dal salto d'ottava del tema iniziale, il cui valore espressivo e significato; a giudicare da quel che ordinariamente si ode, gli interpreti non comprendono affatto: ed eseguiva il breve secondo telllll)Ocosì che ognuna dì quelle sue dolenti interrogazioni senza risposta acquistava un'intensità di espressione sempre maggiore; ed eseguiva il tema in la bemolle della Fantas·ia ùi Chopin con tanta calda e struggente tenerez,m, da dare la nostalgia dell'amore anche a uno cJie non fosse mai stato innamorato. Beninteso che la profondità e forza di quelle mie impressioni deve essere per gran parte attribuita alle due composizioni di Beethoven e di Chopin e al fatto che io avevo diciott'anni e che prima di udirle eseguite da Consolo non le conoscevo affatto: ma se l'esecuzione fosse stata mediocre e inadeguata, sarebbe stata mediocre anche la mia im– pressione. Accade assai di frequente che un'interpretazione sbagliata distrugga la bellezza di musiche anche grandi. In quella sera, si capisce, - egli concertista già famoso, io oscu– rissimo scolaro, - non gli parlai, a Consolo. Gli fui presentato alcuni - anni più tardi a Milano, in un caffè, dopo una rappresentazione alla Scala, non rammento più cli quale opera. Un incontro, in ogni modo, cli nessunissima importanza. L'incontro dal quale ebbe inizio la nostra amicizia, fu qualche aJtro anno dopo, a .Firenze. Era morto da poco Giuseppe Bonamici, professore di pianoforte nell'Istituto Musicale dove io pure era insegnante, di armonia e contra– punto. Un giorno il Direttore dell'Istituto, che era il Tacchinardi, mi chiama e mi chiede: - Che farebbe Lei, al posto mio, per provvedere alla successione di Bonamici ? Chiederebbe fosse bandito un concorso o proporrebbe una nomina per chiamata? E in questo caso, chi si po– trebbe ,proporre ? Nella risposta mia al Tacchinarcli è la dimostrazione del ricordo che io serbavo cli Consolo artista. Risposi infatti che avrei proposto la nomina cli lui, senza concorso. - Sta bene, - soggiunge il Tacchi– nardi - ma bisognerebbe prima sapere se egli sarebbe disposto a ve– Rire. Ed io non lo conosco e non posso chiederglielo. - E allora proposi di scrivergli io stesso : e dopo essermi informato dove abitasse (che neppur questo sapevo), gli scrissi, a Lugano. La risposta fu press'a poco questa: - Ringrazio dell'offerta, che mi piace. Ma prima di accet– tare desidero notizie e informazioni che verrò a chiedere personalmente, a Firenze. - E annunciava il suo arrivo per la prossima domenica. BibliotecaGino Bianco
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