Pègaso - anno III - n. 4 - aprile 1931

446 G. Stuparich sue braccia nude con le fossette sopra i gomiti; come le solle.vava :ilUtorno alLa testa, mi apparivano le ascelle- ombreggiate da um.a delicatissima peluria, bionda come la seta. Io non 111e potevo stac– car gli occhi e un giorno ebbi l'arditezza, e credo che fossé malizia coperta d'ingenuità, di metterci il dito e di chiederle come mai ella avesse tanti peli sotto il braccio. Per il solletico che le feci, mi serrò la mamo nell'ascella come ill1 una morsa e si mise a ridere, 'con quel suo riso che pareva risvegliare ,gli echi più gioco111di della casa e che aveva su di me l'effetto d'u1I10spruzzo fresco sulla pelle c.alda, tanto che mi sarei messo a saltare. Mi chiamò mariolo e fece l'atto di sferzarmi la faccia COIIl l'asciugamano, quasi a scacciarmi, ma nello stesso tempo mi trasse a sé e mi strinse :ilU un, abbraccio; avvolto dal profumo e dall'umidlità della sua carne, nolll amcora bene rasciugata, per quamto mi. serttissi un poco soffocare, mi pa– reva d'essere in paradiso. Altre volte mi ch;i.amava lei, perchè l'aiutassi a dare il becchime ai colombi. - Prepara il pane pei colombi, ~ mi gridava dalla sua camera. Io avrei dovuto rundare in cuc:ilUa,prendere del pane secco e ammollarlo nell'acqua; ma quest'operaziollle l'avevo fatta fin dalla sera prima e 1a ciotola col pan molle era pro111tasotto il mio letto. Aspettavo un poco, ool batticuore, perché lei lllOIIl s'ac– c,orgesse della mia astuzia e le capitavo in camera facendola stu– pire ogni volta della mia prestezza. La zia Nene era un poco ca– pricciosa; molti giorni i colombi venivamo inutilmente alla sua :finestra e il mio pame aveva tempo di riseccarsi 111ella ciotola ,sotto il letto. Ho già avvertito ch'ella non amdava tutti i giorni al lavoro, spesso portava a casa dei tappèti da cucire o da rammendare ; ma il giorno che dava da mangiare ai colombi, ella faceva, non so per– ché, festa e rimaneva a letto più a lulllgo ,del solito. Io la sorpren– devo quasi sempre seduta sulla spo111da del letto, mentre s'illlfilava le c.alze o stav;1 per mettersi certe sue babbucce verdi 00111 la nap– pina scarlatta; calcolavo il tempo in modo da giu111gereproprio in que~ momento, perché allora toccava a me, posata la--ciotola a terra, a fare entrare i suoi piedi nelle babbucce; che mi pareva, compiendola, l'operazione più delicata di questo mondo. Poi an– davamo alla :fi111estra ch'era piuttosto alta; bisognava montar sopra UIIlO ,sgabello. Dallo sgabello io spiccavo un salto per arrivar col busto al davanzale ; ella mi tratteneva perchè con lo slancio nolll volassi di fuori; mi piaceva spavootarla e sentirmi afferrar dalle sue ma/Ili. Ai lllostri occhi, oltre i tegoli rossi del cornicio111e, appa– rivamo i tetti delle case vicine, e di là il fossato d'u111a larga strada. I colombi 1110n si facevano attendere; oggi •so che venivano da un palazw di :fiamco,di cui 111oi, sporgendoci molto, potevamo appena scorgere Ulllamgolo e alcuni comigill:oli; ma allora io mi :figuravo · che volassero giù d!a,,I cielo. Cominciava il giuoco delle nostre mani , BibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy