Pègaso - anno III - n. 4 - aprile 1931
La promessa della zia N ene 443 allora la mia imposizione divent ava peren toria : « 1a prima, ora, che viene, deve esser la zia». Ma quam.do'udii suonare mezzogiorno e farsi più frequente lo sbatter d'usci e i l movimento per le scale, non mi restò altro se non pregare : « Dio, mandami sùbito la zia, che forse facciamo anc6ra in tempo>>; ero molto religioso, special– mente dopo esser stato in Istria dalla nonna. Ma ecco invece della zia, da alcuni colpi secchi di tosse riconosco lo zio Roberto, odo il suo passo, vedo la sua schiena curva. Fui preso dalla dispera– zione, e mi lasciai trascinare dentro da lui, con la morte nel cuore. Rientrare in cuc:ÌJna, veder Olga, la mia matrigilla, ch'io non potevo né considerare né chiamar madre, per quanto mi sgridas– sero, vederla affaccendata lllei preparativi del pranzo, veder la to– vaglia sulla tavola coi soliti piatti, assistere all'uscita del signor Sponga dalla sua camera, del signor Sponga coi baffi pettinati, tram.quillo, lui che doveva darci il libretto della Cassa di Rispar– mio, lui che avrebbe dovuto mam.dar a cercare la zia non vedendola ritornare, com e se fosse un giorno comune, uguale a tutti gli altri, come se m.on esistesse la promessa della zia Nene; tutto questo for– mava una situazione tale per me, ch'io mi ci ribellavo con tutta l'anima, e avrei voluto gridare che a me non importava niente, che sarei p~uttosto morto di fame che mangiare a quella tavola. Lo zio s'era intanto seduto e aveva tirato fuori dalla tasca il solito cartocc:ÌJno; gli dava dei colpettini coo le punte delle dita facendone risuonar il contenuto : era l'illlvito. Io le vedevo già, con l'immagilllazione, le belle caramelle di zucchero dorato e tra– SP'arente, che gli altri giorni mi facevan o tant a gola; ma quel giorno le odiavo. Odiavo lo zio Roberto e ,sarei cor.so si a lui, ma per strap– pargli di mano quel cartoccio e gettarlo a terra e pestarlo sotto i piedi. La mia rèligiosità 111on impediva ch'io nutrissi alle volte qual– che odio dentro di me, come non impediv·a, e lo vedremo in seguito, ch'io fossi una bestiol:ÌJna sensuale e piena di malizie. Lo zio por– tava ogni giorno le caramelle, io mi sedevo sulle .sue ginocchia e gli porgevo la fr0111te;quante pUlllture mi lasciavo fare, senza ri– bellarmi e senza gridare, da un suo dente can:ÌJnomolto a,cumi!I1ato, tante caramelle ricevevo :ÌJncompenso. Egli ci provava un gusto matto a farmi le «punte» ool suo dente ed io mi ci assoggettavo, più anc6ra che per il piacere delle caramelle, per l'orgoglio di quell'esercizio di .stoicismo. Ma quel giorno n0111 mi mossi all':ÌJnvito dello zio. Egli mi chiamò più volte ed io duro e :ÌJnchiodato in un angolo, senza rispondergli. Allora il signor Sponga che mi vedeva imbronciato e che mi voleva bene, venne da me e osò sollevarmi il capo per farmi Ulllacarezza; ma io gli detti Ulil morso nella mMlo. Mi pigliai uno schiaffo dalla mia matrigna, che non scherzava. Ne fui contento, perché potei rifugiarmi nella nostra camera a sfogare col p\anto il mio cruccio. Non mi doleva il rossore dello schiaffo, ibliotecaG•no Bianco
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