Pègaso - anno III - n. 4 - aprile 1931

442 G. Stuparioh le scendessero giù per le guancie. Una volta sola l'avevo vista pian– gere: le lagrime avevano l'effetto di trasformare il suo volto in una maschera orribile, alla quale solo il ripensarci mi metteva ribrezzo. Ella usava impiastricciarsi e infarim.arsi la faccia; questa era l'unica cosa che mi dispiacesse im.lei e però evitavo i .suoi baci che mi la– sciavano sulle guancie un untume sgradevole. Col ,signor Pamtaleone parlavo meno, ma sempre di cose molto serie. Ero disinvolto con lui, ma devo confessare che in fondo in fondo c~lavo una soggezione mista a ripugmamza, soprattutto per i suoi baffi lucidi, appiccicati alle guancie, e per un suo occhio ch'era più piccolo dell'altro, d'un colore diverso, senza luce, e stranamente immobile. Io non sapevo staccare il mio .sguardo da quel suo occhio e solo la oon:fidenza ch'egli mi dimostrava, faceva sì ch'io nolil 1I1e fossi turbato. Il signor Pamtaleone nolil aveva nessun riguardo di parlarmi della sua Se.sa e di mostrarmi tutta una serie di ritratti di lei; ritratti che si facevan di volta in volta più rnumerosi e mi scoprivamo una Sesa sempre meno vestita; da, alcuni di questi ebbi poi la Òonferma che la signora Sesa era stlllta ballerilila. ,Ma più dei ritratti mi piaceva una collezione di bast01I1intagliati, alcuni da lui stesso. Era molto bravo per lavorare di traforo ed aveva insegnato anche a me ad adoperare la sega senza romperla. Tuttavia il mio divertimento maggiore col sigmor PruntaleOIIle ra il giuooo alle carte; avevo imparato la brisoola così bene, da essergli pari e anzi da vim.– cerlo qualche volta; egli .se ne irndispettiva ed io provavo un gran– dissimo orgoglio d[ quel suo dispetto. Quel pianerottolo durnque ojfriva più che sµfficiente materia alla mia curiosità ed era un campo abbastrunza largo per le mie gesta di bambino iiQgenuo e precoce, oome sono del resto tutti i bambini. Non domandavo altro, né mi sarei mai sognato d'evadere verso terre· più estese, se non fosse stata la zia Nene e le sue «spedizioni» moo– sili. Quando s'avvicinava ii termi1I1edi queste, il pianerottolo IÌl.OIIl mi bastava più, amzi mi veniva a noia. Quella mattinà ch'aspettavo il ritorno della zia Nene, avevo visto aprirsi le soffitte, uscir dli casa il sior Gigi, rientrare il signor Pantaleo1I1e; ma io ~ro corso a IIla– scondermi dietro l'uscio per IIlonfarm~ vedere, anziché approfittare di quelle buone occasioni. Non vivevo se IIlonper il momento :i.In cui, afferratomi al braccio della zia, avrei sceso le scale con una pazza gioia iri corpo. E irntanto le ore passavano e la zia IIlOiiritomava. Mettevo la testa tra le sbarre del parapetto, chiudevo gli occhi e, con l'ostinazione dei fanciulli, speravo che dopo aver contato sino a cinqurunta, riaprendo gli occhi avrei visto la zia. Ormai sentivo tutta l'aria im.torno a me diventar grave e prepararmi u1I1à delusione ma non cedevo, volevo quasi imporre la mia volontà al destirno ; « Ecco, la prima pe~.sona che salirà, sarà la zia>>; siccome eravamo vicini a mezzogiorno, molte persone salivano e nessuna era la zia: BibliotecaGino Bianco

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