Pègaso - anno III - n. 4 - aprile 1931
416 P. Monelli voltarmi a fare un gesto spavaldo verso, il nemico, ma mi trat– tenne come un lampo la superstizione, il ricordo del collega ucciso poche settimane prima per un gesto simile) feci anc6ra quei pochi passi con l'idea d'essere la nave che scompare sotto l'orizzonte giu– stificando così la teoria della rotondità della terra. Vidi che il filo del crinale era più alto della mia testa, constatai senza sollievo che ero al sicuro. E mi trovai di pessimo umore. Capivo che la storia non era finita. Ed ecco, come suscitata da un direttore d'orchestra, la fucileria del combattimento :finalmente ap– piccato al di là del costone, un subitaneo fragore altissimo e uguale. Guardai l'orologio: erano le otto, un'ora più tardi dello stabilito. Ohi sa perchè ? Ma intanto mi rendevo conto che se fossi rimasto anc6ra un poco lassù forse i nemici mi avrebbero lasciato in pace, avrei potuto rafforzarmi (a proposito, altro che fortezza incantata quel cucuzzolo! nemmeno un fossarello, nemmeno un muretto). E la coscienza cominciava a rimordermi come per una diserzione. Al piccolo posto del Feltre trovai un testone •bendato che mi salutò : il mio ferito all'orecchio. - Stai bene? - Eh siorsì. - Allora aspetta. Mi feci dare un uomo dal capoposto e mandai un rapportino al comando del battaglione. Qui della battaglia non arrivava che il fragore. Gli uomini del piccolo posto avevano l'indifferenza di gente che non c'entra. Affidai loro il ferito grave; il caporalmag– giore mi disse che lo avrebbe mandato via appena tornati i due che avevano portato giù uno dei miei feriti che, arrivato al piccolo posto, àveva perduto i sensi; o forse anche prima, ché doveva venir su la corvè del rancio. I miei sonnecchiavano, o mangiavano la scatoletta di riserva. Notai il gesto, mi sentii anche un certo languore allo stomaco ; ma non credo che associassi i due fatti. Ero forse preoccupato di ri– cevere una pipa dal comando. Certo non pensai a mangiare. Passò un'ora. Questo comando di battaglione era a casa del diavolo. Ar– rivò :finalmente l'uomo. Fin lassù a metà montagna aveva dovuto sgambettare ; e segnò verso levante, dove erano certi posti avan - zati nostri; un osservatorio da cui si vedeva tutta la battaglia mi disse l'uomo, e anche il rovescio del nostro cucuzzolo; che adesso appariva occupato dai nemici. Ah si ? Il biglietto diceva proprio cpsì : nessuna pipa; ma avrebbero fatto battere il cucuzzolo· da una batteria nostra, poi dovevamo tornarlo a prendere. Per ulteribri ordini, il nostro comando tattico era la tal compagnia del tale bat– taglione. - Tornar là via? Poareti, - disse il capoposto. I miei non dissero nulla. S'accese il primo shrapnel sulla sommità; dopo cin- BibliotecaGino Bianco •
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