Pègaso - anno III - n. 4 - aprile 1931

470 · U. Ojetti - Settimanali dobbiamo farli degni di noi e del nostro buon nome e del nostro buon gusto, sperando negli stranieri soltanto come _in un fortunato sup~r:fl_uo. Dopo, pian piano, questi spettacoli e feste diventeranno, co:111-e SI dice, un'attrattiva anche pei forestieri. Da soli, rebus sic stwntibus, fanno poco o niente. Del resto, caro Suvich, quesrte cose ella- le sa meglio di me. Abbasso i Toscani? 29 Marzo. Non sia mai detto che udendo parlare della question della lingua uno scrittore italiano abbia a tacere. Ma sazietà di lingua il cor non sente .... Nell'Ambrosiano uno scrittor nuovo che poi firma Prisco, se l'è giorni fa presa «. con questa prosopopea, del toscano, con questa con– tinua paura di violarne i precetti, con questo feticismo per ogni modo di dire piovuto in capo a un villano di Prato o a un rivendugliolo di Firenze». 1830? 1860? No, 1931. Con chi ce l'ha Prisco? .Se la prende col Manzoni, col Fanfani, persino col Carducci che avrebbe dato l'osrtra– ci,smo alla parola omarino perché bolognese ; ma di nomi di scri.ttori toscani d'oggi e delle mende e piccinerie loro, nemmeno un esempio. Con chi ce l'ha? Scrive bene, con evidenza, proprietà. ed efficacia, e toscano non è. L'ha qualcuno accusa,to di scriver male perché non, è toscano? Nessuno. E allora? Sono proprio di quei ritorni atavici pei quali alla prima crescenza o ai primi peli un bravo ragazzo torce un occhio o s'impunta a una sillaba perché ~uo padre o ·suo nonno ave– vano quel difetto, e non c'è rimedio. Prisco stava in buona salute, scriveva fresco e pulito, ragiona,va diritto e sensato, quand'ecco, tic– chete, gli viene questo dolor di lingua come al suo avolo o al suo tri~ savolo a quell'età; e non c'è rimedio, se la, prende coi toscani, con la lingua, anzi col vernacolo toscano come avevano' fatto quei suoi vene– rabili progenitori ormai ridotti in polvere di defunti. E proprio lui che ha avuto la fortuna di nascere ,sul Reno, sul Naviglio o sul Po, per dir male dei toscani prende il loro vezzo più logoro e più insulso, e gioca con le parole : pezzuola o fisciù, adulare o piaggiare ? E di prima– vera, per giunta, ché solp a spalancare una finestra, l'uccello più mo– desto ti può dare dal suo ramo con ·due trilli una- lezione di semplicità. Alla mia genera-zione quelle sei pagine delle « ,Mosche coochiere » sembrò. che avessero, trentaquattr'anni or sono, distesa e sepolta la ~ questione· della lingua per sempre. Toscani o non toscani ? Noi si ere– deva :che ormai in Italia si dovesse parlar solo di scrittori buoni, cat– tivi o pessimi, grandi, mezzani o nani, fra,n,chi, timidi o sfiatati ché ce n'è tanti in Toscana e fuor di Toscàna, senza più rimproverare all'Ario– sto e al Bartoli d'essere ferraresi, al Parini e al Manzoni d'esser mila– nesi, al Capponi e al Martini d'essere fiorentini.. Nossignore, siamo sem– pre li. Tutti in fila come coscritti, e fuori la lingua. Passa il capitano medico, con la boccia dell'olio di ricino. De Amicis, Vita militwre, capitolo .... UGO 0.JETrI. BibliotecaGino Bianqo

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