Pègaso - anno III - n. 4 - aprile 1931

452 G. Stuparich - La promessa della zia Nene a lei; le volli prendere uilla mano, per farle sentire con che tre– pidazione aspettavo la .sua grazia; ma lei mi scostò con stizza e mi sgridò che le sporcavo il vestito con le mie sudicie zampe. Al– lora, vistomi perduto, cominciai a urlare, a pestar i piedi per terra, a lanciarle le insolenze più brutali che venivano alle mie labbra di fanciullo; la chiamai spergiura, perché non solo non aveva man– tenuto la pTome.ssa della mattina, ma dopo ·avermi oonsiderato « della compag,nia )), ora mi escludeva. - Bugiardo, - gridò la zia Nene, - chi t'ha promesso mai di condurti fuori stasera? Sei Ulll fanciullo viziato, meriteresti degli sculaccioni, altro che uscir dì notte coi gramdi ! - Ammutolii di colpo. La mia matrig,na che sa,.. peva quant'erano lunghe le mie scenate e che .s'era avvicilllata ap– punto per farmi smettere o con le buone o con le cattive, si me– ravigliò di quel mio improvviso silenzio e credette bene di non aggiulllger parola. Il sig,nor Sponga accennò forse un intervento in mio favore, ma venne fulminato da un'occhiataccia della zia Nene. Lo zio Roberto mi portò il cartoccino delle caramelle, perché mi consolassi. Come l'ebbi in mano alzai il braccio per scagliar– glielo in viso'; non so dire che cosa fu che mi trattenesse. , Quallldo .se ne furono andati, io ch'ero rimasto lllel corridoio, appoggiato al mUTo,con le braccia penzoloni, lasciai cadere a terra il cartoccio delle caramelle. Esse mi rimandarono un suono simile a quello delle monete false. Poi nel gran .sileinzio, succeduto al chiasso e al movimento di prima, io intesi crollare l'edificio della mia felicità; soltanto allora percepii nettamente ch'esso crollava; prima, tra le, fiamme e il caldo dell'incendio, io fhon capivo bene che cosa succedesse, intuivo la rovina, ma non la vedevo m tutti i suoi spaventevoli particolari. Ora, dopo averla vista, mi sentivo av– volto d!al suo fumo. Tra me e la zia Nene, fredda, col suo bel ve- stito da festa, c'era questo fumo. , Mio padre mi chiamò Ìlll cucina. La nostra cena era stata già preparat·a dentro due piatti, coperti da altri piatti. Mi sedetti vi– cino a lui. Egli tagliò alcune fette di pane. Poi mootre S<;opriva i piatti, io mi misi a singhiozzare. Egli non mi disse nulla, co– minciò soltanto ad accarezzarmi ll',I,' testa e. non cessò finché non ritornai tranquillo. Allora ci mettemmo a mangiare insieme. ,Mi distrasse raccontandomi di certe beffe studentesche del suo tempo e mi fece per:fin ride:re. Dopo un'ora io avevo dimenticato tutto in un sonno disteso e pacifico. La mattina dopo sentendo la zia Nene camtare e lavarsi nell'altra camera, ebbi l'impulso d'entrar da lei per .sapere com'era andata la festa; arrivai sino a prender in mano la maniglia, udii la sua voce: - Sei tu Stefano, vieni, vieni. - Colpito da quella voce, lasciai andare di colpo la maniglia e corsi invece dal signor Sponga, perché mi raccontasse lui com'era andata. GIAN! STUPARICH.' Biblioteca Gino Bianco

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