Pègaso - anno III - n. 3 - marzo 1931
290 A. Forza.no come la battima lustra è adombrata dal ritirarsi della schiuma dietro l'onda; giù giù dal fianco, dolce come il mutare di un'eco che si perda, scese, s'incurvò nella coscia e si distese il mutare di una gamba femminile, che pareva assopita in una stanchezza simile a quella che lenisce la linea dei colli a sera. Ma sotto, nell'altra gamba tesa, apparve tanto sforzo per sollevarsi e liberare il corpo dall'oppressione che lo scemo riprese a scavare a furia, e balbettò nell'affanno per consolare, insieme alla sua, l'a,ltra fatica nascosta nella soffocazione della terra. Le zolle si sfaldavano e le luci diverse del cielo tempestoso par– vero raccogliersi nel solco morbido d'ombra in cui svaniva il pube, e stemperarsi per far più lene il nascere del ventre, e salire su in alto a illuminare il vertice dei seni: in ogni cavità leggera il fluire vario della luce con l'ombra era come l'ultima eco di un affanno spento: la, sommità del petto tra le due ascelle 11'era scolorata, ma dall'ombra la luce risorgeva verso il misterioso fiorire del collo. Il corpo era ormai tutto liberato; e, dalla spalla su cui pog– giava, il segno duro della fatica scendeva a sformare il braccio: lo scemo ne rimase sgomento, in ginocchio soffiò via un po' di ter– riccio, spianò bene le zolle 1 all'intorno, poi adagio con un lembo della giacchetta si mise a ripulire la testa che era riversa, piegata senza riposo. Gli occhi eran socchiusi, e la stanchezza dei cigli consumò il rilievo delle guancie, segnò lievemente d'ombra più sotto gli angoli delle narici come se fosse per prendere una forma sicura in un lamento doloroso, si confuse si perse; e lo scemo vide d;un tratto. La -bocca mancava, ancora presa confusamente nella stretta della materia morta. Non la soffocazione della terra aveva piegato il capo e tese le palpebre sullo sguardo fisso, sì che ne parevano molli come l'alabastro d'un lume nascosto: il corpo non s'era allun– gato e irrigidito in quella fatica, ma nell'ultimo sforzo per scuotere la poca cosa inerte che pesava sul tormento di non saperla rom– pere con un grido. Lo scemo vide, e fu preso da una gioia feroce. La testa gli posava fo grembo; adagio,· per non smuoverla, s'allungò fino agli scalpelli allineati, ne prese uno e un martello, e dette i primi colpi a furia. Una goccia larga cadde e gli fermò la mano poi un'altra vicino sulla fronte liscia nell'ombra arcuata dei capeÌli: una voglia con– fusa di gridare o di ridere gli serrò la gola, e insieme tanta dol– ce~za che si chinò giù fisso a spiarne un segno anche sul viso bianco piegato; senza respiro egli seguì la goccia che scese lenta dalla tem– pia, esitò nel cavo_ sotto l'occhio quasi ferma, corse sempre più veloce per la guancia fino nei primi segni dello scalpello vi rimase - chiusa: e là, sicura, gli apparve la traccia del sorris~. E sulla traccia lo scalpello riprese rapido, vibrando più e meno nella mano dietro il suono vario delle prime gocce nella polvere, dietro al BibliotecaGino Bianco
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