Pègaso - anno III - n. 3 - marzo 1931

Stampe dell'Ottocento : la sora Vittoria 277 Seduti fitti fitti sulle panche intorno alla tavola come una piazza d'armi, si mangiava la minestra in brodo tanto per incominciare, la grandinina coi fegatini di pollo, buona per stuzzicare i denti, dopo veniva quella asciutta, la pasta al sugo, che incominciava davvero la riempitura, quindi il bollito di polli e carne e finalmente l'umido di carne, polli piccioni anitre .... Finito il pranzo incominciava la veglia con giochi e scherzi e canti. Eliseo, un pezzo d'accidente grosso e rosso, si vestiva da ra– gazza con tanti cen:ci sul petto e sulle anche, lasciandosi corteg– giare alla contadina, con in'tervento delle mani in ogni parte, ecci– tando parole e gesti grassi in tutta la veglia, ché i contadini anc6ra in contatto colla natura non hanno bisogno di sottintesi e chiamano le cose col loro nome, né temono corruzione dalla realtà come i cit– tadini schizzinosi i quali con questo sacro timore ricuoprono e ali– mentano la corruzione. Remigio si vestiva da ciuco e il cane non finiva di abbaiargli dietro, e tirava calci facendo scappar tutti nei cantucci; e Angiolino da vecchia che ha perduto la sua cara figliola, e con uno stecco che gli teneva la bocca aperta piangeva invocando la sua picc-irellina e invocando l'altrui soccorso per ritrovarla con un linguaggio divenuto pressoché incomprensibile, fatto di suoni aperti per la bocca tenuta spalancata dallo stecco. Si facevano i giuochi della chiave, della berlina, con dichiarazioni d'amore alle ragazze o magari alla Rosa alla quale una volta in berlina se ne dicevano di cotte e di crude. E non mancava Vento, il chincagliere ambulante che in quei giorni di allegria faceva affari d'oro nelle vicinanze, e cantava in versi i propri viaggi, narrando di aver fatto il giro del mondo ed essere stato in Turchia fino· alla soglia del– l'Harem dove aveva dovuto fermarsi. Angiolino gli rispondeva in versi e in rima. Un'allegrezza vigorosa, semplice, che dissetava l'anima di gioia, come le labbra un'acqua pura di sorgente, e di cui non rimaneva traccia se non un certo indolenzimento ai muscoli delle guancie. Anche il sorriso della sora Vittoria pareva galleg– giare per quella sera fino alla spensieratezza della risata_ Il vino dentro i tini incominciava a bollire, Eliseo e Remigio tutte le sere vi entravano scalzi per pigiare, e noi volevamo essere affacciati all'orlo per vedere ritraendoci ineb:viati da quell'aroma. E dopo il tino la svinatura, il vino passava nelle botti. Incalzava l'ottobre colla sua aria pungente la mattina e la sera, e limpide giornate di sole fra giornate di pioggia lunghe e oscure. Noi si partiva per ultimi, pochi giorni dopo che erano partiti i nostri amici, e la sora Vittoria rimaneva sola nella sua casa lumi– nosa e serena. Fino all'ultimo istante serrava la mia mano piccola e grassottella nelle sue un po' rigide e scarne, per' mettervi anc6ra un frutto, un'altra crocetta di fichi secchi, anc6ra un fiore; ma BibliotecaGino Bianco I .

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