Pègaso - anno III - n. 3 - marzo 1931

276 .d. Palazzeschi che il cameriere, il quale in tanta confusione aveva perduta la testa rispondesse agli insistenti richiami. E giunto :finalmente dopo tant~ chiamare, disse loro che del gelato non ce n'era più, e ch,e per un vero miracolo c'era rimasta la sorbettiera, e che cosa deside– ravano al suo posto. >Masiccome col gelato anche i fuochi erano finiti, quelle si alzarono tutte alla notizia, e scapparono come passeri spaventati, tornando a casa felici per aver visto bene ed aver sem– pre i loro soldi in tasca. C'era la festa delle rificolone, il sette di settembre. Le rificolone sono certi lampioncini di carta colorata che i fanciulli portano a spasso quella sera illuminati con una candela, e issati in cima ad una canna; e cantando in gara a chi l'ha, più bella: << E l'è più bella la mia .... )). Vengono eseguite in famiglia generalmente, in forma di barchette, di tamburo, di cocomero, o di semplice lampioncino. Alla fine della competizione prendon fuoco fra scoppi di risa ed urla di rabbia e di dolore da parte del fanciullo al quale la rifico– lona brucia in cima alla canna: « E la piglia foco ! >>. La, mia rifi– colona aveva sempre un fiocco, una catena, una nappa, una fran– gia, di più o più bella, ché la sora Vittoria, non finiva mai di attac– carvi qualche altra decorazione colle sue dita che maneggiavano la carta velina come un'ostia. Ma il mio compagno, una volta bru– ciata la sua, ed era sempre la prima a bruciare, faceva in modo che brucinssero anche le altre adoperandosi con ogni mezzo possi– bile, con ogni specie di dispetti e disturbi fra risate e strilla. Questa faccenda della rificolona rappresentava anche nel popolo una parola allusiva, pei- designare certe donne troppo cariche di ornamenti e di troppo discordanti colori, alle quali per le strade non si diceva direttamente che erano delle rificolone ma si gridava, come gridare al vento: << E la piglia foco ! >>. Guardandosi attorno a quel grido ognuno si accorgeva presto la rificolona qual'era. E veniva la vendemmia, ch'era l'ultima festa e la più bella. Passavamo tutta la giornata nei campi a coglier l'uva trabal– lando sulle zolle col· paniere, e a questa faccenda, venivano invitati gli amici e i contadini confinanti. A mezzogiorno si faceva cola– zione sull'erba delle viottole dov'er~vno allineate le bigoncie piene d'uva già incominciata ad ammostare, e che Eliseo otto alla volta por~ava ~ia col suo carro rosso tirato dai buoi. I ragazzi, prima che le ~1go~c1efossero caricate sul carro, con una paglia volevano suc– chiare m quel guazzetto; si mangiava del sedano in pinzimonio e le noci col pane, quello nero dei contadini, finché la, .sera, termi– nata l'allegra fatica, ci si riuniva tutti nella loro cucina per il p~anzo. solenne. La cucina era sfolgorante colla Rosa sotto il ca– mmo divenuta tutta una bocca che ride e al colmo della sodisfaz.ione simile a una gene~alessa in battaglia: coadiuvata da tre o quattr~ suba.Iterne sorveghava pentole e tegami di proporzioni gigantesche. BibliotecaGino Bianco

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