Pègaso - anno III - n. 3 - marzo 1931
268 A. Palazzeschi domenica che la presenza dei babbi conferiva alla tavola un aspetto solenne e una maggiore responsabilità. Ricordo il fumo della zup– piera sulla credenza mentre le donne scodellavano la minestra in un silenzio crescente, e le cupole dorate di certi vassoi di fritture in quella luce verdastra, o il colore smagliante dell'insalata fresca, il giallo di una frittata la sera, per la cena frugale sotto la luce o·iallastra del lume a petrolio pendente dal soffitto, e sulle mura bianche della stanza ampia e disadorna come un refettorio, simili alle figure di un cenacolo, le ombre della mensa. Alla fine del pranzo con grande strepito veniva chiamata la sora Virginia, la cuoca, a prendere gli applausi, e compariva alla soglia col grembiule bianco e la faccia ancora infiammata dal fuoco del– l'arrosto; dietro a lei si affacciavano le nostre donne che smette– vano di mangiare per assistere alla conversazione : era la donna che la sora Vittoria teneva seco con amore di sorella conservando intatto il rispetto da serva a padrona. Quando erano sole nella villa mangiavano l'una davanti all'altra in cucina silenziosam·ente, ma quando c'erano i villeggianti la sora Virginia prendeva davvero il suo posto di cuoca rimanendo in cucina per buona parte della giornata, e la sora Vittoria coi villeggianti quello di padrona. E quando due o tre volte all'anno le due vecchie si recavano insieme a Firenze, vestite di nero quasi uguali, e con un cappellino simile, òentro la diligenza di Sandrino, solo osservandole nel reciproco sguardo si poteva stabilire la reciproca condizione. La sora Virginia aveva pochi anni di meno della sora Vittoria, ma i capelli ancora neri e una faccia rossa un po' schiacciata su cui si rispecchiava la contentezza interiore nella propria umiltà. Era stata per molti anni cuoca presso una signora che abitava una villa al ponte di Vingone, conosciutissima in tutto il circondario per amare la buona tavola e proprietaria di un famoso ristorante di Firenze. Si chia– mava la signora Amalia Thompson, e la sora Virginia pronun– ciava quel nome con religiosità e ebbrezza, narrandone le gesta. fa. miliari che rappresentavano il suo stato di servizio la sua gloria e la sua gioventù. La signora Amalia Thompson aveva una quantità. enorme di figlioli e di :figliole e di ntpoti, di sorelle e di fratelli, tutti con figli in abbondanza: una tribù, che durante l'estate rac– coglieva al completo nella proptia villa e, a mezzogiorno in punto, guai a sgarrare di un minuto, si sedeva a tavola, una tavola leggen– daria per il numero e per un'allegrezza non Qomune, come ci fosse stato un banchetto quotidianamente, e fino all'età di novant'anni aveva dato il buon esempio mangiando una sola volta durante le ventiquattr'ore della giornata ma mangiando per ventiquattro per– i;:on~,riempiendosi come un otre; e guai ,se le pietanze non erano cucrnate a dovere, era esigentissima in quell'arte che conosceva pro– fondamente e che poteva insegnare a tutti e a tutte Pore. I babbi ap- BibliotecaGino Bianco
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