Pègaso - anno III - n. 3 - marzo 1931
262 A. Palazzeschi tenendo la soo·gezione e quasi non cedendo al desiderio di accarez– zarmi e di gi~ocare insieme come con un prezioso oggetto, aromi· rati dalle mie scarpine belle e dal vestitino che sapevo conservare pulito .fino a sera, senza sgualcirlo troppo,. mentre l'altro era sem– pre lacero e sporco colla pelle delle gambe scorticata come quella, delle scarpe. iMi facevano dono di un frutto, di uno zufoletto o un fucilino fatti colle canne, e che l'altro prima o poi mi carpiva; e un giorno per strapparmi un soldo che avevo trovato in una viottola e che non volevo cedergli, mi picchiò, mi graffiò e vinto dall'ira mi ruppe la testa con un sasso .finché non l'ebbe avuto. Corsi a casa, la sora Vittoria trasse da un armadio in fretta, una boccettina fa– sciata col panno nero e che conteneva l'olio di scorpione, mentre che lui, osservando un po' incuriosito e un po'confuso l'unz.ione della mia fronte sanguinante, disse come argomento inconfutabile : « Non me lo voleva dare .... )). E nei campi, quando non ci vedeva nessuno, si dava a mangiare uva, e colla bocca piena e le guancie sporche e gonfie d'uva e di gioia, mi incitava a mangiarne anch'io che povero imbecille restavo li a guardarlo per non trasgredire al divieto. Che aspettavo? Di che avevo paura? Non avevo paura,, ma quella voracità, e più forse un nascente sp,irito di contraddizione, mi riduceva a non poterne assaggiare neppure un chicco, e lo guardavo esasperando la mia na– tura che a sua volta influiva sulla sua esasperandola; lo guardavo tra disgustato e ammirato mentre lui mi faceva boccacce di di– sprezzo seguitando a mangiare, e mentre forse inconsciamente mi chiedevo se fosse meglio ~ssere come lui o come me. Talora, tra– scinato da qnella foga vitale selvaggia, mi facevo complice di qual– che sua avventura che finiva sempre, piccolo o grande, in un ma– lestro, del quale egli addossava deciso la colpa a me pure sapendo di non essere creduto. Sicuro dell'altrui giudizio tacevo. La madre del fanciullo mostrava indifferenza scrollando le spalle, ma seccata in fondo del diver·so apprezzamento che oramai si faceva palese– mente dei due fanciulli; ed una volta per uscire da quella posi– zione di inferiorità dichiarò netto· che il suo ~figliolo era un de– monio e le piaceva cosi e lo lasciava fare, e che le acque chete sono quelle che rovinano i ponti. Acque chete .... era per me. La, sora Vittoria, pure tacendo, lasciava comprendere che avrebbe· preferito un po' di severità, tentando con ogni mezzo di regolare e corr_eggere quella forza bruta della natura, ma per calmare le di– vergenze materne ci strinse tutti e due uno per lato carezzosa– mente. Il mio amico da una parte sbuffava e si divi~colava non . amando di sentirsi legato e rimanere fermo, e io dall'altra provavo un vago timore e una specie di disagio fisico a quel contatto troppo vicino colla santità. · Mia madre allora prendeva me da una parte mostrandomi la BibliotecaGino Bianco
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