Pègaso - anno III - n. 3 - marzo 1931

260 A. Palazzeschi ----------=--------------- lutavano ridendo, e grattandosi sui fianchi scuotevano le pulci dalla sottana per regalarcele, non avendo di meglio da offrire alla signoria, che 'andava in villeggiatura. E pensare che quel trabaccolo pencolante, traballante, cigolante e scricchiolante, carico del ba– gaglio più svariato e bizzarro, rappresentava un lusso, una vera e propria sciccheria. Per la strada Sandrino schioccando la frusta gridava a,lla ca– valla assai arrembata : cc Ihu ! ihu ! Via Nina, ihu ! >>. E dopo le bor– gate di Monticelli e di Legnaia, giunti in aperta campagna, inco– minciava a cantare o attaccava discorso con noi, rispondeva ane domande che gli venivano fatte dando notizie dell'annata, e par– lando colla medesima allegria di quelli che erano morti come di quelli che si erano sposati o avevano avuto un figlio. Mia madre colla donna si davano negli occhi elevandoli al cielo per domandar protezione: « È ubriaco fradicio!», ma non c'entrava 1 ubriachezza, la salute piuttosto, e la semplicità che gli facevano guardare sere– namente ogni fenomeno della vita. La sora Vittoria ci aspettava sulla strada, davanti alla villa; già di fondo alla salita nella luce rosea e densa del tramonto si distingueva la sua piccola figura nera. Era una vecchia casa di campagna, antica villa dimessa, lontana da,l paese dalle altre ville e dalle case; vi si andava a vivere lunghe giornate di sole, supine, spiegate, colla terra coi contadini e colla sora Vittoria come in una frateria gioconda. Al primo piano erano due quartierini affittati ognuno 'ad una coppia di sposi giovani e amici e con un maschietto entrambi. La sora Vittoria per dar posto ai suoi ospiti si ritirava nella sua stanza. In mezzo era la grande sala da pranzo dove ci si riuniva tutti ad un'unica mensa, e le corrispondeva, al piano terreno, quella del– l'ingresso, di uguale ampiezza, circondata da divani a muro im– bottiti e ricoperti ai una cretonne a rose e fiordalisi. Da un lato la cappella dàll'altro la scala, in faccia una porticina a muro dava nella casa dei contadini che occupavano il resto del terreno con la, porta di dietro, sull'aia. . In quelle stanze ampie e fresche per le mura spesse: e mantenute m una mezza luce dalle persiane verdi abbassate, si seguivano mi– schiandosi durante l'estate gli odori che le mura parevano assor– bire ed esalare respirando: quello del fieno acutissimo della pao-lia I b e del grano nella battitura che in un pulviscolo d'oro veniva ese- guita a braccia sull'aia; quello del granoturco delle verdure le zucche, lo spigo, la cedrina e la menta, le pes~he i fichi l'uv~ le mele, e quello violento del mosto e della svinatura delle vinacce di cui la casa diveniva ebbra. A zaffate di tanto in' tanto salivan~ gli odori della cucina dei contadini, del pane caldo uscito dal BibliotecaGino Bianco

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