Pègaso - anno III - n. 2 - febbraio 1931

A. GREGo, Rerno J,faun, avvocato 25} Un giorno un impiegato cacciato dallo zio Maun, certo Ferralasco, rive1a a Remo di essere in po~sesso di alcune lettere che provano i paS'– sati rapporti del vecchio Maun con la Barel. Remo con un atto di forza riesce a strappar-e le lettere al Ferralasco. A quale scopo ? L'idea di una canagliata perfettamente cc gratuita n l'ossessiona. Ricattare la con– tessa Barel; commettere un atto indegno per smentir-e la voce della me– diocrità che dice e< tu non sarai capace di commetterlo>>. Si ricorda, Remo, di un levantino che visto cadere dal treno un compagno di viaggio non si curò di dare il segnale dell'allarme per non procurare al con– voglio un inutile ritardo. _ e< Ecco», pensò, <e milioni di uomini sono capaci di aver senso umano e di tirare il campanello d'allarme per avvertire della disgrazia. Uno solo è capace di proseguire il viaggio. Oppure di dormire a fianco di un lebbroso n. Agire, -compiere un'infamia di stile; non intristire quale– complice delle piccole indegne manovre del suo e< principale n, l'avvo– cato Galliera. E il ricatto, l'infamia levigata a danno della Barel si compie. Poco dopo Remo Maun, chiamato al capezzale del padre, ne ve– glierà il cadavere stringendo tm le mani una borsa zeppa di biglietti da mille, e sentirà una grande tristezza invadergli il cuore. Anche l'espe– rienza dell'infamia di stile, della canagliata gratuita (perché Remo non tiene o cr,ede di non tenere al denaro) sarà stata vana. L'Ebreo che– non ha superato se stesso ricade nella sua miseria. L'Ebreo ? Ecco una debolezza del libro. Remo Maun non è più ebreo - di Filippo Rubé o di altri, recenti o lontani, squallidi eroi di romanzo. Il Grego ha temuto la miseria del documento umano, l'insidia del fatto di rronaca, e ha voluto rialzare il tono del suo libro investendo di un significato di portata generale un episodio di povera e torbida umanità. Ma non perciò ha dato al suo protagonista una più forte risonanza. Sol– tanto l'arte può trasfigurare la cronaca in poesia, senza che giovino a questo scopo sovrapposizioni di estranei o soverchianti significati. Evi– dentemente quando lo Svevo si rifiutò di dare ai suoi personaggi una chiara coscienza del loro ebraico retaggio (e fu per questo rimproverato) obbedi felicemente al suo forte istinto d'artista. Ce ne dà una prova il Grego stesso, il quale riesce più efficace creatore là dove meglio dimen– tica la sua discutibile polemica contro le sue stesse origini. Abbiamo ricordato Svevo e Borgese. Fra l'uno e l'altro, Grego sem– bra fare, ci si •permetta il termine balistico, la «forcella»; s'intende nei risultati, non nelle intenzioni che sono liberissime. Ricorda il secondo quando riesce composito, criticistico, calcolato; fa pensare al triestino dov'è più diretto, primitivo e si risolve tutto nell'efficacia della rappre– sentazione. Si guardi Remo quando strappa le lettere al Ferral_?sco malato, e poco dopo il furto: « Intascò il pacco, prima che l'altro avesse tempo di muoversi o di parlare, afferrò il cappello posato su una sedia e usci. Fece solo in tempo a sentire un attacco di tosse, violento, del malato. Gli parve ohe ab– baiasse n. « .... esitò ancora. ' Se i fiammiferi sono in numero dispari, apro il pacco ', pensò. Si diede a contarli lentamente. Sedici, diciassette, diciotto. 'Non dovrei aprire le lettere'. Ma quasi sitbito staooò i bolli di o~ralaooa colle dita già nervose». ibliotecaGino Bianco

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