Pègaso - anno III - n. 2 - febbraio 1931
248 U. TuMIATI, 1 tetti rossi conosce anzitutto i limiti e La. pocher;za, ma non perciò scettico sul conto di essa; pronto, al caso, a ogni sa_crific~o,anche a que~lo della vita_ (si legga la pagina Epidemia, o l'ultimo ritratto del capitolo Colleghi) e disposto costantemente a partecipare con un sentimento di generosa, umana pietà al dolore altrui . .Se l'umanità non avesse di questi uomini, la sentiremmo senz'altro impoverita, e forse ancor più disgraziata di quanto già non sia. Questo libretto è bello principalmente per questo motivo. I lettori di Pègaso conoscono quaJ.che parte di queste pagine che l'autore chiama modestamente «annotazioni». E ne ricorderanno certo più d'una; ad esempio, quella ch'io non riesco a rileggere senza uno strappo al cuore, - proprio cosi, - ove si racconta della bambina, Miri, che s'ammala di polmonite e muore. « Per quindici, venti giorDj abbiamo guardata la sua piccola vita oscillare come una fogliolina sul ramo che il vento non ha la forza di staccare. E una notte che ero di guardia m'hanno chiamato perché Miri moriva». La ,fievole invocazione della bambina che vuole anc6ra ossigenQ, il cieco strazio della madre, e la ferma se– rena disperazione del babbo : cose e sentimenti toccati con grande ve– rità. « Non ha bestemmiato, né implorato. Aveva sul volto disfatto und smarrimento incredulo, una disperazione nuova, senza parole. Poi le si è avvicinato e le ha carezzato i capelli piano piano sulla fronte, dicen– domi con un'altra voce, quasi supplichevole: - ,Guardate, come è bella>>. Libretto concentrato; con molti spunti di esso il Tumiati, se a,ve:sse voluto prendere questa materia e lavorarla secondo modi- più ampi, avrebbe potuto scrivere racconti assai belli. Ma il suo modo di vedere è un altro: fermo all'essenziale, tocca spesso con estrema sobrietà i punti più vivi e dolenti, v'incide sopra con un'acutezza singolare di sguardo, e affida la sua attenzione a poche, scarne parole, ,fissando un aspetto, un volto, una figura, un atteggiamento, un moto dell'animo quasi in un sol tratto, timoroso della minima, amplificazione. Quando talora cala, per cosi dire, l'oggetto in una forma più ampia, quasi bozzettistica (si vedano La cattura o Primetta), o ricorre a un dialogo serrato, colto in uno sfondo di gesti, di figure in movimento che balenano animando vivi– damente la scena, o fa. partecipare all'a.zione una folla di gente, entro una visione tesa, l"ilevata nitidamente. Ma senza mai nulla di pittoresco, di compiaciuto. Per fortuna, il Tumiati in questo senso, che poi sarebbe in senso deteriore, non ,è mai un letterato, uno scrittore esterno. Ma letterato lo è, sempre, in quanto delle parole si sa servire con un esatto, direi quasi metfooloso criterio di scelta. Non credo che questi bozzetti, questi rapidi e incisivi ritratti di medici e di mona,che, queste sobrie« punte secche>>in cui inscrive gesti e figure di pazzi, di «agitati» o di « tra-nquilli », di visitatori bizzarri o morbosi del triste luogo, e d'altra gente che vi càpita o vi si trova (infermieri, contadini, parenti di ricoverati ecc.), egli li abbia scritti di getto: si capisce che sono pa– gine lavorate, riflettute, scarnite spesso .fino all'osso, ma, quel che più conta, non solo in vista d'un effetto artistico. O meglio, l'osservatore e lo scrittore vanno oltre l'esterno delle figure: nella loro zona profonda, alla loro umanità. Tanto che di fronte a certe inumane bestiali espres– sioni della follia, ove l'occhio d'un descrittore im1iffe~·ente si sarebbe BibliotecaGino Bianco
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