Pègaso - anno III - n. 2 - febbraio 1931
A. GA.TTI, llia ed Alberto 217 E dovunque risuona un'alta e riposata -sapienza della vita. Poche pagine vorrei togliere da questo libro, poche mutare. Nel ca– pitolo A.l limite estremo della disperazione, dove pure la visione del camposanto e della tomba, di Ilia è circonfusa di un sovrumano silenzio, il gusto talora è un po' facile; il penultimo capitolo non ha la forza persuasiva degli altri; e qua e là si cancellerebbe con un tratto di penna un'immagine un po' letteraria,. Ma l'armonia e la ricchezza artistica di questo libro ha pochi riscontri nel romanzo italiano di questi ultimi cinquant'anni. Mentre sto per concludere, quante cose vedo d'aver tra– lasciato! Quel ritorno nella casa dov'è morta Ilia, e le sue immagini si ridestano con la vita e l'angoscia d'una risurrezione, e tutto l'amore la gelosia la bontà si risvegliano più vivi di quando Ilia era viva; quel viaggio in treno, tutto nubi e sprazzi di sole come l'anima d'Alberto, e il contrappunto dei bisticci della coppia meschina al dialogo muto fra Alberto e l'immagine di Ilia,; quel senso di mutilazione dei primi giorni, e la visione sacra che si risveglia, in Alberto dalla scena peccaminosa che egli indovina attraverso la parete d'una camera cl 'albergo ; la, prima comparsa cli Val,entina; Virginia e il passo vellutato di bellissima belva con cui essa cerca di accostarsi all'anima di Alberto dopo la morte di Ilia .... Ma chi non ha letto questo libro, ha già provato, nelle poche citazioni che ho fatto, il brivido che dànno le grandi parole. La prosa di questo li– b1·0è tranquilla, piena, affettuosa, animata da un calore malinconico, sol– levata da un insonne anelito verso l'imperituro: è di quelle che nascono dall'intimo, da una forte esperienza. Siamo troppo abituati ai romanzi nati dal mestiere, per non chiudere questo con commozione e con am– mirazione. ATTILIOMOMIGLIANO. CORRADO TUMIATI, I tetti rossi. - Treves, Milano, 1931. Lire 12. Chi non ha visitato un manicomio ? Ci si va spinti per lo più da curiosità, s'esce quasi immancabilmente tristi. Io ricordo d'averne visi– tato uno, guidato da un direttore, scienziato operoso e umanissimo, non diverso da uno di questi dottori di cui il Tumiati in alcune sue pagine ci dà dei ritratti cosi ben riusciti, così veri. Il mondo, - questa parola sta bene a indicar per contrasto l'atmosfera nella quale operano cotesti mirabili clerioi, - il mondo non li conosce; li vede spessissimo sotto una luce falsa, li chiama « professori ii, non senza, una punta di sprezzo credendoli o freddi o crudeli, insensibili al dolore. E forse qualcuno ce n'è; avvolto in una nube d'orgoglio scientifico, meccanizzato in aride formule. Ma si tratta d'eccezioni; la regola ,è un'altra. È quella, che si potrebbe ricavare da questo bel libretto; da cui vien fuori una fisonomia morale di medico, cli scienziato, e di uomo che non può non imprimersi vivamente nel nostro ricordo. Perché, a parte il lato artistico, ch'è assai notevole come diremo, dei Tetti rossi, quel che tocca intimamente il nostro animo leggendo queste pagine è la costante presenza di un uomo illuminato e moderno, sereno ma sensibile, per nulla orgoglioso della sua scienza della quale 1bliotecaGino Bianco
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