Pègaso - anno III - n. 2 - febbraio 1931
A. NEGRI, Vesperti?ia 243 La poetessa mira un grande campo arato, sotto il cielo deserto, di- nanzi a sé; il campo, in cui le antiche messi e le future sento, e il tenace faticar dei figli sulle tracce dei padri . . . . . . . . . . . e se tra mano un pugno ne raccolgo, una parte di me stessa stringere credo : la più scura e fonda. Questi ed altri, sono accenti di poesia; e mi sembrano i più nuovi, i più promettenti dell'ultima NegTi. Certe poetiche invocazioni e pre– ghiere, e ritratti dolenti di donne, e rapidi aspetti di città, quadretti notturni, improvvise visioni da « finestre alte))' possono av~re ancora 1a loro efficacia e bellezza, ma non mi pare che li cada l'accento nuovo di lei. Quella è una Negri che conosciamo, anche se ora sia in l(;limaggiore il gusto morale, l'intento gnomico, per cui quasi da ogni aspetto di natura ella trae una conseguenza d'anima, spesso negli ultimi due o quattro versi della poesia, una scadenza; un monito a~- Né saprei compiacermi fino in fondo del suo nuovo leopardismo. Come un certo dannunzianesimo (e s'è visto quale) presiedette alle sue ore turbinose e solari, così ora Leopardi le suade l'ombra vespertina. Tutto quello che ,si poteva dire su questo improvviso leopardismo della Negri, è già stato detto. E sempre che Leopardi significhi antiretorica, volontà di conoscersi, presenza di sé a se stesso, rigore e pudore dell'esp1.·essione, candente amore della parola, ben venga, non solo lo studio (che fu sempre di tutti i buoni) ma anche l'eco, l'imitazione del Leopardi. (In alcuna di queste nuove poesie della Negri, Ilda, Suor Leopoldina, Il figlio ohe non nacque, c'è anche un'insolita eco pascoliana, dai Poe1netti e forse dai Conviviali). Non direi però che dove il Leopa;rdi si risente di più, lì la Negri sia più felice. I patetici lontanissimi interrogativi leopardiani; oppure quelle sue strette domande, perentorie e tragiche, - trasportate nella Negri (e quante ce n'è!) non fanno un bel sentire. La poesia della nostra poetessa è sempre tutta, e direi fisiologicamente, sensibile : farà dunque bene a evitare non si dice un confronto, ma anche un ricordo di alta intelligenza lirica. Nella poesia Violette, ella dice di quelle viole di febbraio: quelle pallide, sai, ohe han tanto freddo ; nella poesia Deserto, domanda a se stessa: come hai fatto a restar .sen,za nessuno?; niente di male, se tutte due le poesie non avessero per l'appunto un vago tono e quasi una pretesa di calma leopardiana, dentro cui tanta povertà d'accento certo non s'intona. Eccoci così tornati a quello che fu sempre il punto dolente, il problema, inscHuto: lo stile della Negri. Le gioverà nell'ora vespertina, non l'eco prossima (che certo non giova) ma l'amore e l'esempio lontano del Leopardi? Gliel'auguriamo e ce l'auguriamo. Non possiamo dimen– ticare che, da trent'anni, ella è la prima poetessa italiana. PIEYI'RO PANCRAZI. ibliotecaGino Bianco
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