Pègaso - anno III - n. 1 - gennaio 1931

La crisi del Teatro 3 Inta11,to clall'alto dei tigli gorgheggia 1,11Y1, iisignolo. << Oh! giiisto te! Consigliaci)). << Cari miei, vi manca l'a,rt,e e l'ore'()clvio; non siete naU alla 1nusica; ·o ritti o sediiti,_ o raccolti o schierat-i, per far che facciate non suonerete se ca1npaste cen.t'anni )). Per il Ma,rtini insomma, agli scrittori drammatici iitaliami man– cavano <<l'arte e l'orec_chio )); e rimedi esteriori a queste loro defi– cienze non c'erano. Poteva forse essercene uno, essenziale e intimo : lasciar fare al tempo. A un'idea dell'Hillel;lrand, quella ché il Dramma, suprema espressione della vita nazio!Thale,<< :fiorisce aUoTa che un popolo .... acquista, più che la nozione della propria gran– dezza,, la coscienza dell'esistenza propria ll, il Martini univa una sua persua-sione di letterato, che credeva l'arte << specchio della virta ll, e _ in fondo attribuiva la povertà del Teatro italiano alla lunga disu– nione politica d'Italia, alla sua mancanza d'un centro spirituale, pa,rago,nabile a Londra o a Parigi. In sostanza, per lui, lo speochio non poteva fuinzion,are, se non esisteva ancora la vita nazionale cl'a specchiare. E concludeva: << Quando la v'ita itmliana abbia pr,eso aspetti propri, e da Susa a 1l!Ianduriacomuni, forse la commedia scatterà fuori d!un tratto, im– magine fedele di tempi nirnvti, di 11in nuovo stato sociale; fino a che non giunga quel giorno non sarà che. una fisima, e avrà gli effetti di tutte le fisime il pretendere di farla nascere per incubazione ar– tificiale )). Messi per q uest·a via, del cammi,ho se ne poteva fare. E altri lo fecero; scoprendo che dunque, sfooome in Italia _l'unità politica e la vita nazionale non c'eralllo state, rigorosamente parlando, da molti secoli, la crisi del suo Teatro lllon datava dall'ottocooto, ma da centinaia dl'anni. Nel settecento, si diceva, la presenza dell'Alfieri -0 del Goldoni son fenomeni individuali, i quali non bastano a darci · quell'insieme e quella continuità d'autori, di opere e di tradizioni, che costituisoono un teatro. Peggio nel seicento, e nel Rinascimento, fra l'eteooe dispute degli umalllisti che discettavano sui modelli classici e sulle unità aristoteliche, ma senza costruire, fatta, forse una sola eccezione, opere vive: le-tte·ratura acca,demica, non espres– sione d'una nazione vivente. Ma tutti ricordamo anche come si mise a ruggire Giosue Carducci, qu.an; do sentì argomentazioni di questo genere-: perché mai ad avere un teatro nazionale, ci voleva un'unità politioo e un centro spirituale, se se n'era potuto fare a meno rper avere una letteratura nazionale, ch'è tra le più sootuose del mondo? In verità la crisi risaliva più in là; il critico può correre a ri– troso tutto il Medio Ev,o e arrivare addirittura agli inizii dell'Im– pero, quando cioè Roma era bene un centro non solo d'Italia ma del mondo: a,ttraverserà un millennio -e mezw, assolutamente de– serto di grandi nomi. E perciò, da altri, prima e dopo il Ma-rtini, al vecchio qliesito s'era _trovata un'altra risposta: l'Italia non ha BibliotecaGino Bianco

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