Pègaso - anno III - n. 1 - gennaio 1931

T. W1LDER, The Woman of Andros 127 gere ad una fine felice quando Glicerium, sfinita dai patimenti e dalle recenti paure, muore improvvisamente anch'essa senza dar alla luce il figlio del suo amore. Il destino s'è compiuto. Pamphilus è ormai solo. Egli che formò la f,elicità di quelle due donne, ne determinò anche la fine. Ormai tutto ravvolto in un abito di meditazione che apprese da C'hrysis, non piange, non si dispera, accoglie nel suo spirito quelle due morti con religioso fervore e ne trae insegnamenti di pace e di rasse– gnazione. E nel pensiero e nella riconoscenza della pura etéra egli si ripete le parole di coraggio ch'ella gli aveva insegnato: « Io lodo tutto quanto vive sulla terra, ~ gli esseri splendidi e gli oscuri)). Che tutta questa storia sia destinata a sorprenderci e a commuo– verci, come ci sorpresero e commossero certe figure tutte verità e finezza di The Bridge of Saint Louis Rey e cli The Cabala non oserei dire. E vorrei aggiungere che in essa la maestria del narratore è anche meno accorta. Tutta la favola è troppo semplice di congegni per tra– scinarci : è insomma un susseguirsi di situazioni più che un loro na– turale e pittoresco svolgimento. Questo romanzo ha un po' il factic~. rli una commedia antica e i personaggi, di psicologia e di sentimento hanno solo quel tanto ch'è fornito loro dal senso e dall'aspettazione della morte. Il pensiero di morte che profuma di sé e rende queto, elegante e rassegnato questo· piccolo mondo cli amori da anfora o da mimo, è il continuo, segreto pensiero cli Ohrysis, la dolce etéra. Questa creatura voluttuosa che nello splendore del suo :fiorire ha il presagio certo della sua fine e si prepara un epitaffio per la tomba, e che pur morente acco– glie intorno a sé tutti i vecchi amici e :cagiona con loro come al tempo dei suoi brillanti conviti è sorella a tante altre creature della poesia e dell'arte greca. C'è in lei un pQ' della devozione di Antigone, un po' della sublime rassegnazione di Socrate. È, in realtà, la figura più bella del libro e la sua morte è davvero commovente. Pure tratteggiata con grazia è Glicerium, schietta natura di po– vera schiava che vive tutta dell'amore della sorella e di Pamphilus; ma meno comprensibile è Pamphilus, carattere troppo scarnito. d'uma– ·nità, astratto. Questo personaggio porta in sé un dissidio strano, tra la dottrina morale ch'egli professa, i suoi propositi di castità e di devo– zione e il non saper fare il proprio dovere sposando la fanciulla ch'egli ha resa madre. E poi quand'essa muore per disperazione questo suo unico rifugiarsi in pensieri di gravità e di saggezza, ci sembran cose da praticante egoista. In realtà ciò che v'è di squisito e di puro, in questo come negli altri libri del Wilder, è appunto direi, l'alone di meditata esperienza, questo ricamo di pensieri morali vissuti e macerati dentro le pagine e che fa– sciano amabilmente tutte le vicende del racconto e fa camminare i suoi personaggi come in una morbida luce di vetrata: e oltre a ciò l'arte so- - praffina dello stilista che rende attraverso i casi narrati la sua filosofia dell'accettazione. La marchesa di Montemajor, lo zio Pio, Esteban e altri indimenticabili personaggi di The Bridge che dopo tante passioni e gioie e spasimi di vita tutti s'avviano verso il ponte che fatalmente si sfascerà sotto i loro piedi inghiottèndoli nell'abisso sono la vita stessa,

RkJQdWJsaXNoZXIy