Pègaso - anno III - n. 1 - gennaio 1931
114 G. P .A.PINI, Gog che sono per sfortuna pa,reccl.tie, ci dànno tuttavia un po' di respiro in questa galleria d'orrori, in cui una gelida sofisticheri~ celebra i suoi riti senza ve;rità e poesia. Affine per invenzione alla « Città abbandonata» è l'incontro col Duca Hermosilla de Salvatierra: il Palazzo Nudo del Duca e specialmente la .figura di lui, d'un tetro lunatico cosi spagnolo, così da Escuriale si fissa nella memoria senza scampo ; il grottesco di ., quelle ceree maschere d'antenati vestiti con l'ultimo abito ch'ebbero in vita fa suplilrare il freddo orrore dello spettacolo. E anche se sulla linea di un Papini vicino a certi pezzi di bravura ben noti, è bello il capitolo « Cadaveri di città>>: « Le colonne mozzate non reggono più gli archi– travi : il cielo ha recuperato il pavimento del tempio. Il sole è tornato nelle cavee e nelle cripte; le case son ridotte a muraglie smantellate; pa– lazzi e sepolcri egualmente vuoti d'abitanti - dappertutto cenere, pol– vere e sil,enzio ». Qui è il suo pessimismo cristiano, chei non ha nulla che fare con Gog, o meglio qui è dove più Gog somiglia Papini. Alla fine delle sue corse sulla terra, dopo le sue deluse esperienze, Gog si mette a, fare il mendicante. Si compra un abito da povero, lascia le sue automobili in un garage, licenzia il séguito. E gira per i paesi del– l'Appennino toscano, e un giorno s'incontra con una bambina che sor– veglia alcune vacche al pascolo. « Ero stracco e affamato. Sul far della sera giunsi in una selva di castagni e mi accorsi che al limite della selva c'era un prato sassoso e una fonte». « Vicino allai fonte c'era, seduta per terra, una bambina. Avrà avuto dodici o tredici anni: la più bella creatura ch'io avessi vista mai. .Sul viso dorato dal sole brillavano due O\)Chfverdi, incantati. E sulla testa, libera, onde e riccioli di capelli neri. Tra i labbri, freschi e rossi come un frutto spaccato, un sorriso involontario, tutto bia,nco. Una meraviglia». « Per non spa,ventarla mi posi a sedere sopra un masso, un po' di– stante da lei. La bambina si rassicurò: non parlava e non mi toglieva gli o-echi da dosso. Quattro vacche enormi pasturavano li vicino. Io mi asciugavo il sudore. Cosi malvestito e ansante dovevo sembrare davvero un disgraziato giramondo. , « Dopo un quarto d'ora, non so come, la bambina tolse da un suo fagotto un pezzo di Jiane scuro, si avvicinò a me e me lo porse con un sor– riso timido, mormorando qualche parola. Aveva capito che avevo fame. La ringraziai come seppi e addentai ,il pane con voluttà. Non ho mài sentito un sapore così buono e ricco. Che sia questo il vero cibo del– l'uomo? e questa la ve;ra vita?». Con .questo idillico quadretto si chiude il diario di Gog. Possiamo lasci ar da parte l'intenzione oratoria, osservando che l'episodio è privo d'un significa.to, dirò, catartico (in Gog manca infatti og11isvolgimento mor ale); e cogl ier Rolo il significato umano dell'incontro, la casta bel– lezza di questo ritratto di bambina. _Certo, così facendo, è più che pro– babile, a dir poco, che Papini sentirà troppo limitate le sue ambizioni di scrittore. Ma allora perché non dire che si tratta di ambizioni estranee all'arte,.e alla vera umanità di lui? Umanità. e arte che son le sole cose che dovrebbero contare, a parte la Verità, anche per Papini. G. 'l'ITTA-RosA, BibliotecaGino Bianco
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