Pègaso - anno III - n. 1 - gennaio 1931

G. PAPTNT, Gog 113 questo esaltato candore gli sorreggeva la penna anche in momenti non felici. Perciò quel libro, che pure in molte pagine suona rettorico, ha il pregio di quella ingenuità : e le disperse curiosità che lo compongono si costituiscono attorno a un nucleo, dove un uomo vivo è presente. Non così in Gog, nonostante le sue fughe, corse e sorprese. Dice Papini che « moltissimi, al tempo nostro, somigliano, in realtà, a Gog » ; e anche questo mi sembra azzardato. Ohi gli può so– migliare? Sì, per qualcosa Gog, - e cioè per la fébbre che, secondo Papini, egli dovrebbe mostrare nell'impossessarsi delle « più raffinate droghe d'una cultura in putrefazione» e delle « forme dell'epicureismo cerebrale dei nostri tempi», - potrebbe ricordare, alto alto, qualche pescecane del dopoguerra; ·ma lo stato d'animo di cotesta gente di fronte alla cultura era d'una toccante ingenuità, d'una ridicola inesperienza. Se P.apini fosse più osservatore del costume e meno ideologo, più sen– sibile alla -vita e meno cerebrale nel senso deteriore, di Gog avrebbe potuto darci un ritratto vivo; di questo mostro una vitale iperbole. Ma occorreva che tutto il suo armamentario sofistico oedesse il posto a una rappresentazione, che bruciasse al fuoco d'una fantasia corposa, avida di determinazioni reali. Solo a tal patto noi avremmo visto il volto e ì l'anima di quest'uomo. Non credo necessario insistere ·su questo punto. Tuttavia, non tutto il libro cade; qualche pagina si sostiene. E que– ste sono le pagine che ci ricordano, anzi ci riportano q,uasi d'un tratto alle Buffonate e, ancor più, al 'Jragico quotidiano ; oppure, ma più di rado, a quei momenti del Papini migliore in cui un'acre tristezza, e quasi una nausea del mondo, si fa strada tra le parole, e ne muove, come un alito, l'astratta compagine. Improvvise fantasie, quasi senza corpo, prive d'un preòso significato, e pure emananti un che di misterioso e forse di simbolico; o brevi riflessioni, vicine alla poesia, vicine al cuore dello scrittore del Mio fiume, I miei amici, La mia strada. Si veda, esem– pio del primo caso, « La città abbandonata» : una visione di città che •s'alza all'improvviso sul deserto, con le sue alte mura, i suoi palazzi disabitati, le sue torri, sotto il lume della luna. Gog vi giunge, la percorre a cavallo. « Non s'udiva, nella città deserta, che l'eco dello scalpitio stanco del mio cavallo. Tutte le vie ernn lastricate ma poca erba, mi parve, cresceva tra pietra e pietra. La città pareva abbandonata da po– che settimane o, tutt'al più, da pochi mesi. Le costruzioni erano intatte, le finestre accuratamente chiuse da sportelli verniciati di rosso, le porte puntellate e sprangate. Non si poteva pensare a un incendio, a un ter– remoto, a un massacro. Tutto sembrava intatto, pulito, ordinato, come se tutti gli abitanti fossero partiti insieme, per decisione unanime, in calma, alla medesima ora .... Trovai soltanto, in terra, un giubbone da donna e un sacchetto con poche monete di rame. Se mi fermavo in ascolto non udivo che il rodio dei tarli e lo zampettar dei topi». È una descri– zione; ma gli esterni elementi che la compongono suggeriscono nell'in– sieme uno stupore fermo e come incantato : un pittore novecentista, po– niamo un De Chirico, vi troverebbe qualcosa di proprio, per quel che di magico e spettrale contiene la visione. Ma nel libro non mancano altri spunti felici, ,momenti del Papini buono : e sono essi che, se non rie– scono a farci dimenticare le parti o freddamente bizzarre, o arzigogolate, 8. - Pèuaso. ibliotecaGino Bianco

RkJQdWJsaXNoZXIy