Pègaso - anno III - n. 1 - gennaio 1931

F. RUFFINI, La vita religiosa di A. Manzoni 107 bonghiana ha un tale accento di verità. Mentre Bonghi, Rosmini e il marchese Gustavo di Cavour discutono sulla predestinazione, quest'ul– timo domanda: cc Mi dicano chi sono gli eletti di Dio». Risponde il Manzoni: e< qnos predestinavit >>. A dir vero non c'è da far nessuna meraviglia che egli rispondesse così. Non faoova che ripetere quanto aveva f,Critto nella prima edizione della Morale cattolica (cap. VI), là dove parla, di quelli « che Dio ha predestinati alla sua gloria» e dove subito dopo aggiunge: « è giudizio delle più rea, e stolta temerità l'affer– mare d'alcun uomo vivente che non lo sia,; ardir esduderne un solo dalla speranza, nelle ricchezze della misericordia di Dio». Comunque sia, il marchese di Cavour c'imposta su tutta una sua impalcatura teo– logica. Quando vien·e la volta pel Manzoni di replicare è difficile imma– ginare una. più garbata canzonatura delle parole del Marchese, un fargli meglio e più amabilmente comprendere quanto il Nostro considerasse inutili e ingombranti simili elocubrazioni. Finisce per mandargli tutto all'aria colla seguente riflessione: « Come faremo a sapere il modo con cui Dio predestinò, se non sappiamo ancora il modo con cui crea?». Passati nn trentacinque anni dalla famosa disputa di Ohambéry si può ben ritenere che il Nostro vi tenne lo stesso contegno tenuto poi col · marchese di Cavour, salvo s'intende quel maggior interesse che l'eccle– siastico ·savoiardo, dalla testa limpidissima, dovette in lui suscitare. Nella conclusione finale il Ruffini formula in altre parole il seguente dilemma: o il Giansenismo fu « un fantasma, un'eresia immaginaria» quale lo dissero lungo due secoli i suoi principali difensori, dall' Arnauld fino all'ultimo deì portorealisti di recente scomparso, il Gazier, e allora l'ortodossia del Manzoni si salva, ma si salva anche quella di tutti i Giansenisti; oppure il Giansenismo fu una effettiva complessità etero– dossa di pensieri, di sentimenti, d'opere, e allora il Manzoni fu gianse– nista in pieno, e tale rimase nell'intimo sempre, anche se cogli anni le circostanze lo indussero ad esserlo meno visibilmente. E in questo se– condo corno del dilemma il Ruffini si fa forte del giudizio, a parer suo mal dimenticato, di D. Albertario, che appena morto Manzoni dette l'allarme contro la pienezza della fede cattolica attribuitagli, e chiamò e< mezza conversione >> il ritorno di lui alle credenze e alle pratiche re– ligiose. Ora, per tutto ciò che ho detto finora a me sembra che la conclu– sione del Ruffini, pur poggiata su tanto apparato di notizie importan– tissime e d'apprez_zamenti suoi non trascurabili, sia priva della base necessaria. Per essere giansenista mancò al Manzoni la piega indispen– sabile d~ll'ingegno e dell'animo; mancò, ripeto, l'amore delle contro– versie di teologia dogmatica e morale; il ritener lecito, per quanto ri– guardava lui, di ricercare e soprattutto di affermare ciò che Iddio volesse o facesse nelle anime, quando non lo afferma la Chiesa. Non ostante la sua smania di conversare e discutere interminabilmente, si potrebbe do– cumentare che rifuggiva dalle dispute religiose come da cosa che lo turbasse. Non basterebbe ciò a metterlo lonta,no dai seguaci del Gianse– nismo, controversisti per eccellenza ? Il Ruffini (vol. I, p. 334) ha potuto fare una scoperta ill;teressante e curiosissima; l'identità della malattia. nervosa di cui patirono Pascal BibliotecaGino Bianco

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